IL TESTO DEL LIBRO
"IL CARCERE DIMENTICATO. RIFLESSIONI SULLA DETENZIONE,
CON UNO SGUARDO AGLI ISTITUTI DELLA CAMPANIA",
pubblicato nel 2003:
CAMERA PENALE DI NAPOLI
progetto
il carcere possibile
il carcere dimenticato
riflessioni sulla detenzione
con uno sguardo agli istituti della Campania
Prefazione
di Rosa Russo Iervolino
Sindaco di Napoli
EDIZIONI SIMONE - 2003
Il progetto “Il carcere possibile” nasce nell’aprile del 2003, per iniziativa dei direttivo della Camera Penale di Napoli, composto dal Presidente Avvocato Antonio Briganti e dagli Avvocati Bruno Botti, Giuseppe De Angelis, Raffaele Esposito, Carmine Ippolito, Stefano Montone, Riccardo Polidoro, Luigi Sena ed Ester Siracusa.
Già in passato la Camera Penale di Napoli si era occupata dei problemi relativi all’esecuzione della pena, organizzando convegni e dibattiti. Ricordiamo, in particolare, quello del marzo 2001 su “Trattamento penitenziario e rieducazione”, nell’ambito della manifestazione per ricordare Giordano Bruno e quello dell’aprile 2002 su “Senso di umanità e rieducazione del condannato”, tenutosi nel Salone dei Busti di Castelcapuano, con la rappresentazione teatrale del monologo “Illuminato a morte”.
Con “Il Carcere Possibile”, la Camera Penale di Napoli, intende avvicinarsi concretamente a quello che oggi è il dramma della detenzione. Questo libro rappresenta il primo passo di un nuovo percorso che vedrà la Camera Penale di Napoli al fianco di quelle energie ancora attive del settore giustizia. Una strada di denuncia, ma anche propositiva, che parte dal principio costituzionale del terzo comma dell’art. 27 della Costituzione, “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”, tenendo ben presente che tutto quello che eccede la privazione della libertà, altro non è che arbitraria ed illegale violenza.
Questo libro è stato ideato, curato e redatto dall’Avv. Riccardo Polidoro.
La Camera Penale di Napoli è un’associazione di Avvocati che esercitano la professione nel campo penale. Fondata a Napoli nel 1867, aderisce all’Unione delle Camere Penali Italiane, composta di oltre cento Camere Penali di tutta Italia . La sua storia s’identifica con un’illustre tradizione forense riconosciuta in tutta Italia.
Le Camere Penali tutelano il diritto dei cittadini ad un giusto processo ed il rispetto dei diritti civili.
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Si ringraziano: Ernesto Tatafiore per il disegno in copertina
Le Edizioni Simone e La Feltrinelli musica e libri
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Si ringraziano, per le loro riflessioni:
l’ On.le Rosa Russo Iervolino, Sindaco di Napoli
la Dott.ssa Francesca Romana Amarelli, Magistrato dell’Ufficio di Sorveglianza di S.M. Capua Vetere
il Dott. Michele Del Prete, Presidente della Sezione Distrettuale di Napoli dell’Associazione Nazionale Magistrati
il Dott. Francesco Saverio De Martino, Direttore della Casa Circondariale Femminile di Pozzuoli
il Dott. Claudio Flores, Sociologo, Direttore coordinatore dell’area pedagogica della Casa Circ. di Poggioreale
l’Avv. Francesco Piccirillo, già Presidente della Commissione per la stesura del Protocollo d’Intesa tra il Ministero della Giustizia e la Regione Campania
il Prof. Sergio Piro, psichiatra, antropologo
Armando Punzo, Direttore del Laboratorio teatrale del carcere di Volterra;
il Dott. Stefano Vecchio, Direttore Dipartimento Farmacodipendenze ASL NA 1,
per la collaborazione:
Il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria ed il Provveditorato di Napoli
Le Direzioni degli Istituti di Napoli – Poggioreale, di Napoli – Secondigliano, di Pozzuoli, di Arienzo, di Carinola, di Eboli ,di Lauro, di Sala Consilina, e dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Napoli.
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INDICE
PREFAZIONE
dell’On.le Rosa Russo Iervolino, Sindaco di Napoli………………………………
IL CARCERE DIMENTICATO, IL CARCERE POSSIBILE
dell’Avv. Riccardo Polidoro, Consigliere della Camera Penale di Napoli………….
RIFLESSIONI
del Prof. Sergio Piro, Psichiatra, Antropologo…………………………………….
Del Dott. Francesco Saverio de Martino, Direttore della Casa Circondariale Femminile di Pozzuoli……………………………………………………………………………
Del Dott. Claudio Flores, Sociologo, Direttore coordinatore dell’area pedagogica della Casa Circondariale di Napoli- Poggioreale………………………………………………..
Del Dott. Stefano Vecchio, Direttore del dipartimento farmacodipendenze ASL NA 1………….
Del Dott. Michele Del Prete, Presidente Sezione Distrettuale di Napoli dell’Associazione Nazionale Magistrati.
Della Dott.ssa Francesca Romana Amarelli, Magistrato di Sorveglianza presso l’Ufficio del tribunale Di Santa Maria Capua Vetere………………………………………………………
Dell’Avv. Francesco Piccirillo, già Presidente della commissione per la stesura del Protocollo d’Intesa tra il Ministero della Giustizia e la Regione Campania, del 3 ottobre 2000……………..
Del regista ed operatore teatrale Armando Punzo, fondatore ed animatore di Volterrateatro………
UNO SGUARDO AGLI ISTITUTI DELLA CAMPANIA…………………………
Regolamento interno……………………
Capienza dell’Istituto, Unità detenute, Descrizione della struttura…………..
Trattamento e Rieducazione……………………….
Colloqui con i familiari……………………………….
Visite mediche di controllo……………………………
Ore di aria……………………………..
Modalità di consumo dei pasti…………………..
Visite da parte di Ministri, Membri del Parlamento, Componenti CSM, Presidenti di Corte d’Appello, Procuratori Generali, Presidenti di Tribunali, Procuratori della Repubblica, Magistrati di Sorveglianza, Consiglieri Regionali, Prefetti, Questori, Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Provveditore………………………………………………….
Attività svolta dal Consiglio di aiuto sociale all’interno dell’Istituto…………………….
PREFAZIONE di Rosa Russo Iervolino
Ho sempre pensato che il livello di civiltà e di democrazia sostanziale di un Paese si misuri soprattutto nella considerazione effettiva che esso ha per i diritti dei più deboli fra i cittadini: malati, anziani, disabili, bambini. A ben guardare i più deboli in assoluto sono i carcerati: essi vivono esclusi dalla comunità, possono protestare solo tra le mura del carcere ed in più, nel subconscio collettivo, c’è il disinteresse verso chi ha sbagliato e “merita” quindi una pena per espiare la sua colpa.
La logica del terzo comma dell’art. 27 della Costituzione fatica, quindi, a farsi davvero strada nella cultura collettiva e molti ancora non uniscono al rispetto formale per la norma, la profonda, radicata convinzione che il percorso in essa indicato è il solo di reale rispetto dei diritti umani e l’unico veramente utile per la comunità.
Recupero e reinserimento sociale sono, infatti, i binari di un percorso capace di spezzare la spirale che spesso fa del carcere un luogo di umiliazione personale e di diffusione della capacità-volontà di delinquere.
Napoli, con il sovraffollamento dei suoi carceri (maggiore di quello degli altri istituti di pena in Italia), offre uno spaccato particolarmente grave del problema che la buona volontà e la capacità professionale di tanti operatori - ai quali si aggiunge l’intelligente impegno di molti volontari - non riescono da soli a risolvere.
Anche per questo le iniziative della Camera Penale sul tema del carcere possibile, sono di particolare valore ed acquistano grande significato. Si tratta di un modo moderno e sostanziale di concepire e realizzare il diritto alla difesa, come diritto che non accompagna l’imputato soltanto fino all’irrogazione della pena, ma lo segue in quel percorso di “rieducazione”, attraverso trattamenti che ne rispettino ed esaltino l’umanità, voluto dall’art. 27 della Costituzione.
In quest’ottica vanno affrontati e risolti, con urgenza, una serie di problemi, da quello dello spazio vitale, al diritto allo studio ed al lavoro, al diritto a vivere rapporti sessuali ed affettivi.
Su questi temi c’è tantissimo da lavorare sul piano culturale e delle realizzazioni. Il contributo della Camera Penale è prezioso ed essenziale.
IL CARCERE DIMENTICATO. IL CARCERE POSSIBILE di Riccardo Polidoro
Il carcere possibile. Il carcere dimenticato. Il carcere ignorato. Il carcere virtuale. Il carcere abbandonato. Erano questi i titoli che la Camera Penale di Napoli avrebbe potuto dare alla sua iniziativa. Abbiamo scelto il primo per il progetto, per essere propositivi e non abbandonarci a fin troppo facili pessimismi. Il secondo per questo libro, perché per la detenzione è facile perdere la memoria di quanto si conosce ed è necessario, invece, che qualcuno lo ricordi.
Il carcere rappresenta per l’opinione pubblica una realtà “altra”, che non appartiene ai problemi da risolvere. E’ questo un sentire comune, tanto comune che nessun grande partito politico mostra un vero interesse per questo tema, ben sapendo che il “ritorno” in ordine di voti è del tutto nullo, anzi vi è il concreto pericolo che, denunciando il dramma del carcere, vi possa essere addirittura una perdita del consenso già acquisito.
In un recente incontro-dibattito sull’art. 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario e sui diritti negati, tenutosi presso la Camera Penale di Napoli, dopo che la norma da eccezionale è divenuta definitiva con un ampio consenso in Parlamento, uno dei relatori, l’On.le Avv. Gaetano Pecorella, Presidente della Commissione Giustizia della Camera, ha esplicitamente ammesso che “ chi si schiera in qualche modo per una maggiore garanzia viene etichettato immediatamente per essere mafioso….è, secondo me, un atteggiamento culturale che non è soltanto del Parlamento, perché io credo che si deve sempre tenere presente che il parlamentare, quando esprime un voto, lo fa, mi auguro, qualche volta in relazione alla propria coscienza, il più delle volte in relazione agli effetti elettorali del suo voto, cioè in relazione al fatto che schierarsi in un modo o nell’altro, significa perdere o guadagnare voti…Non è una scelta contro il Paese, ma è una scelta che tiene conto, evidentemente, di un atteggiamento culturale del Paese”.
Un atteggiamento culturale incline alla repressione, dove il principio costituzionale di rieducazione non trova spazio.
In un’ intervista, rilasciata a Radio Radicale l’8 ottobre 2002, il Ministro della Giustizia, nel rispondere ad una specifica domanda sulla gravissima situazione dei Tribunali di Sorveglianza, ha affermato: “dell’umidità ce ne occuperemo dopo”, con riferimento ad una ormai famosa battuta del Presidente del Consiglio. Facendo comprendere che il Governo non ritiene una priorità la soluzione dei problemi della sorveglianza, in quanto ben altri sarebbero le questioni urgenti da affrontare. Al giornalista che gli faceva rilevare come molti detenuti lamentano che avrebbero diritto ad uscire dal carcere, ma che il Magistrato di Sorveglianza non esamina il suo fascicolo, il Ministro ha risposto che, certamente questo è un aspetto da risolvere, ma che in Parlamento vi sono ancora troppi decreti e leggi da esaminare su questioni più importanti.
Mentre Governo e Parlamento hanno affrontato ed affrontano in materia di giustizia temi ritenuti più importanti, si prospettano tempi lunghi o meglio lunghissimi per gli irrisolti problemi del carcere e dei Tribunali di Sorveglianza e coloro che avrebbero diritto ad una detenzione nel rispetto del dettato costituzionale e dell’ordinamento penitenziario, o quanto meno civile, attendono. Attendono anche coloro che avrebbero diritto alla libertà e devono, invece, continuare a restare in carcere perché non vi è un Giudice che possa esaminare la loro posizione.
Ma cosa è più urgente della libertà?
Gli Avvocati conoscono la realtà del carcere. Ascoltano dalla voce dei loro assistiti realtà non immaginabili, raccolgono le proteste dei familiari e sono testimoni della presa di coscienza, o anche di conoscenza, che avviene nel momento in cui una persona cara viene privata della libertà. Solo allora, infatti, la gente apre gli occhi sul mondo del carcere, ricorda quanto forse già sapeva o si accorge, per la prima volta, di quanto avviene dentro quelle mura e chiede “ma come è possibile?”.
Quanto fino a quel momento era stato accantonato o ignorato diviene ragione di meraviglia e di protesta. Una ribellione che resta comunque isolata, perché il parente o l’amico in carcere, ti rendono portatore d’istanze che non trovano interlocutori. Gli altri, infatti, ascoltano forse anche interessati, ma, forti del loro stato di “libertà”, dimenticano facilmente.
La libertà è il bene più grande che un individuo possiede. Sottrarre tale bene è la sanzione massima che uno stato democratico può infliggere. Ciò può e deve bastare. Lo stato appropriatosi del “tempo”, delle “azioni”, degli “affetti” di una persona, deve dare uno scopo a tale punizione che non può essere fine a se stessa, ma deve tendere alla rieducazione, ed in alcuni casi all’iniziale educazione, del detenuto.
Il sovraffollamento che caratterizza tutti gli Istituti di pena, assume in Campania punte così elevate da rendere la privazione della libertà nella nostra Regione ed in particolare in alcune strutture, la privazione anche dei più elementari principi di civiltà.
I recentissimi dati forniti dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria offrono un panorama allarmante descrivendo una situazione ingovernabile.
Nella relazione scritta per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2002, della Corte di Appello di Napoli, si evidenziava che “ …solo in Napoli sono presenti, nella casa Circondariale di Poggioreale 2199 detenuti, di cui 980 giudicabili, 427 tossicodipendenti e 228 extra-comunitari, su una capienza di 1276 unità”, rilevando che “il sovraffollamento è ritornato, di fatto, ad essere la piaga del giorno e la situazione del distretto ha guadagnato primati di presenze in istituto che, oggettivamente, creano equilibri precari e delicati, con la memoria a pregresse storiche incandescenze, che sembrano però oggi sopite”.
La relazione continuava sottolineando che “Va comunque riconosciuto che la popolazione carceraria, sotto l’egida di un sano e diffuso egoismo, tarda a maturare ribellioni e proteste di massa, preoccupata maggiormente della singola posizione e del proprio domani, che da movimenti di piazza, più o meno socializzati”.
Il “detenuto – egoista”, rende l’idea del tipo di “rieducazione” praticato negli Istituti Penitenziari, dove in una situazione di vera e propria sopravvivenza, ognuno pensa a sé stesso e la socializzazione è l’ultimo desiderio dell’internato.
La relazione dell’anno giudiziario 2003, riprende testualmente il concetto del detenuto-egoista – la frase sopra riportata è rimasta identica anche nella nuova relazione – e riferisce che “solo in Napoli sono presenti, nella Casa Circondariale di Poggioreale, che continua ad essere il Carcere più affollato d’Italia, 2.386 detenuti…su una capienza di 1.276 unità”. Rispetto alla relazione dell’anno precedente, dunque, mentre il limite di capienza massima è rimasto invariato (1.276 unità), vi è stato un aumento di detenuti da 2.199 a 2.386, pari a 187 unità, che ha portato alla drammatica situazione di 1.110 detenuti in più .
Le linee guida politico-strategiche del Ministero della Giustizia prevedono per il 2003, quale “obiettivo generale 08”, “la certezza della pena e contestualmente la dignità delle condizioni detentive, riducendo il sovraffollamento, creando circuiti differenziati e favorendo la formazione, il lavoro ed il recupero sociale dei condannati ai fini della diminuzione della recidiva”. E’ questo l’obiettivo che anche altri Governi avevano, ma che concretamente non è stato mai realizzato, anche se rispecchia uno dei fondamentali principi costituzionali.
Abbiamo un Ordinamento Penitenziario che trova raramente un’effettiva applicazione. Vi è stato un Protocollo D’Intesa tra la Regione Campania ed il Ministero della Giustizia il 3 ottobre 2000, preceduto da una Dichiarazione D’Intenti del 12 novembre 1999, che resta in gran parte incompiuto.
Il carcere è dunque ignorato e le leggi che lo disciplinano sono leggi “virtuali”. Norme che prevedono fattispecie astratte che restano tali, in una situazione reale di degrado delle strutture e di un crescente sovraffollamento.
E’ necessario, dunque, intervenire. L’aumento costante della popolazione carceraria non consente ulteriori attese. Per tale ragione, la Camera Penale di Napoli, già impegnata da diversi anni sui problemi dell’esecuzione della pena, con convegni e dibattiti, ha deciso questa volta di schierarsi con coloro che concretamente operano nel pianeta carcere, mettendo a disposizione la professionalità dei suoi iscritti e la sua esperienza.
Nasce così il progetto “IL CARCERE POSSIBILE”. Un punto di partenza per la nostra associazione che vuole però essere anche un riferimento per tutti coloro, e non sono pochi, che già operano per migliorare le condizioni di detenzione negli Istituti di pena in Italia.
Il nostro primo passo è stato quello di raccogliere dati ed informazioni dagli Istituti penitenziari della Campania e di chiedere una “riflessione sul carcere” ad autorità politiche, uomini di cultura ed addetti ai lavori. Non tutti hanno risposto all’appello, ma coloro che ci hanno voluto offrire il loro contributo l’hanno fatto con entusiasmo. Li ringraziamo.
La nostra ricerca non vuole proporsi come un esame esaustivo della realtà penitenziaria in Campania, ma può offrire alcuni spunti per comprendere meglio la situazione, verificarne il degrado, per poi proporre soluzioni. Soluzioni possibili.
Le cifre relative ai detenuti presenti negli Istituti della Campania, confermano un sovraffollamento non più tollerabile. Ne soffrono più della metà delle strutture ed alcune di esse con cifre spaventose. Poggiorale rappresenta poi un caso a parte. Un vero inferno. Risulta difficile credere che si possa reggere una situazione del genere.
Alla dirigenza del carcere in queste condizioni nulla può essere chiesto, perché ogni risultato ottenuto, e ve ne sono, costituisce un vero e proprio miracolo.
La situazione regge certamente per il sacrificio di chi opera nell’Istituto, ma a discapito dei detenuti che vivono la detenzione in maniera “diversa” che in altre strutture, con una disparità di trattamento che riguarda gli elementi essenziali della vita stessa.
Va evidenziato, poi, che i detenuti di Poggioreale per i 2/3 sono in attesa di giudizio. Il che vuol dire che vi sono a Poggioreale circa 1.600 individui “presunti innocenti” che vivono una condizione che non sarebbe giusto fosse destinata neanche a chi è stato ritenuto colpevole.
La mancanza di spazi sufficienti, una sola ora di aria la mattina ed una al pomeriggio, la vita comune in stanze anguste per il numero di occupanti, i servizi igienici precari condivisi con un numero elevato di persone, ridotta possibilità di usufruire di docce, costituiscono un grave pregiudizio per la salute.
I detenuti costretti per l’intera giornata nelle celle, o comunque in spazi angusti, assumono con il passar del tempo abitudini da animali in gabbia. Passeggiano velocemente, si voltano automaticamente e riprendono a camminare, tutto ciò in un brevissimo arco temporale.
La visita medica è effettuata al momento dell’ingresso. Successivamente ogni qual volta sia ritenuta necessaria dal sanitario o richiesta dal detenuto. Manca una frequenza di visite sanitarie di controllo. In pratica dopo il controllo iniziale, s’interviene solo per necessità.
Dal punto di vista igienico-sanitario va poi rilevato che riteniamo difficile garantire un sufficiente grado d’igiene e la non-nocività dei cibi, se gli stessi vengono detenuti e cucinati in un unico ambiente dove convivono per un’ intera giornata, anche sedici persone. Se nello stesso luogo vi è poi un unico servizio igienico, che servirà per i bisogni corporali, per lavare il corpo e necessariamente anche le stoviglie.
Lo Stato che giustamente si preoccupa dell’igiene negli ospedali, nelle scuole ed in altre strutture pubbliche, perché dimentica il carcere e consente, laddove dovrebbe impartire lezioni di legalità, che si consumi una situazione di abbrutimento ?
Abbrutimento del corpo e della mente. Nelle condizioni in cui “sopravvive” Poggioreale la TV color, che è posta in ogni stanza, rappresenta l’unico reale mezzo che possa giungere davvero ad ogni recluso. Il detenuto non vuole e non può sottrarsi alla ordinaria programmazione che contribuisce, soprattutto perché mancano indicazioni a riguardo, a reprimere qualsiasi pur larvata possibilità di un minimo recupero.
Perché allora non prevedere delle attività culturali a circuito chiuso che possano coinvolgere l’intera popolazione del carcere? La televisione come strumento di diffusione di qualcosa di diverso dalla programmazione ordinaria che, al contrario, contribuisce ad alimentare sotto-cultura.
Il rapporto con la famiglia è, poi, fortemente penalizzato. Da un calcolo effettuato sui dati acquisiti è emerso che, con riferimento ad un affollamento medio, vengono effettuati 500 colloqui al giorno.
Per poter organizzare tale attività è istituita un’ enorme stanza dove i detenuti, in media venti alla volta, parlano o meglio urlano, ai familiari - posti dall’altro lato di un tavolo - i loro affetti e le loro esigenze , per un tempo che è di circa un’ora. La riservatezza è garantita dall’enorme frastuono.
Il rapporto fra il numero di educatori presenti ed i detenuti è a Poggioreale di 1 a 400. Dato che non ha necessità di alcun commento. Eppure sono 13 anni che non viene bandito un concorso per tale qualifica. In altri Istituti il numero è altrettanto insufficiente, mentre nella Casa Circondariale di Sala Consilina manca del tutto la figura dell’educatore, con visita due volte al mese di un esterno.
Dalla nostra ricerca è emerso anche l’inesistenza di Consigli di aiuto sociale, con un’ unica eccezione per quello istituito solo recentemente dal Presidente del Tribunale di Torre Annunziata.
Eppure il “Consiglio di aiuto sociale” fu istituito con la L. 26 luglio 1975, N.354 (artt. 74 e segg.), cioè 28 anni fa, per svolgere un ruolo fondamentale, con le seguenti attività: a) curare che siano fatte frequenti visite ai liberandi, al fine di favorire, con opportuni consigli ed aiuti, il loro reinserimento nella vita sociale; b) curare che siano raccolte tutte le notizie occorrenti per accertare i reali bisogni dei liberandi e studiare il modo di provvedervi, secondo le loro attitudini e le condizioni familiari; c) assumere notizie sulle possibilità di collocamento al lavoro nel circondario e svolgere un’opera diretta ad assicurare un’occupazione ai liberati che abbiano o stabiliscano residenza nel circondario stesso; d) organizzare, anche con il concorso di enti o di privati, corsi di addestramento ed attività lavorative per i liberati che hanno bisogno di integrare la loro preparazione professionale e che non possono immediatamente trovare lavoro, promuovere altresì la frequenza dei liberati ai normali corsi di addestramento e di avviamento professionale predisposti dalle regioni; e) curare il mantenimento delle relazioni dei detenuti e degli internati con le loro famiglie; f) segnalare alle autorità ed agli enti competenti i bisogni delle famiglie dei detenuti e degli internati, che rendono necessari speciali interventi; g) concedere sussidi in danaro ed in natura; f) collaborare con i competenti organi per il coordinamento dell’attività assistenziale degli enti e delle associazioni pubbliche e private nonché delle persone che svolgono opera di assistenza e beneficenza diretta ad assicurare il più efficace ed appropriato intervento in favore dei liberati e dei familiari dei detenuti e degli internati; g) prestare soccorso, con la concessione di sussidi in natura o in denaro, alle vittime del delitto e provvede all’assistenza in favore dei minorenni orfani a causa del delitto.
Manca, dunque, con l’unica eccezione per il circondario di Torre Annunziata, l’organo con il compito di cerniera tra la detenzione e la libertà. Quello deputato al reinserimento, cioè al momento più delicato del ritorno alla libertà.
Ci ha colpito in merito la risposta pervenutaci da una Casa Circondariale dove è stato scritto che l’organismo era stato abrogato. In effetti che esista sola sulla carta o sia effettivamente abrogato, nulla cambia.
Altro dato inquietante è l’assenza delle istituzioni. Il numero di visite agli Istituti è nullo o comunque irrisorio. Gli stessi Magistrati di Sorveglianza raramente vanno a verificare “di persona” cosa avviene dentro le mura. Del resto come si leggeva nella relazione sull’inaugurazione dell’ ultimo anno giudiziario “ tutti i Magistrati di Sorveglianza sono ben consapevoli della trasformazione del loro ruolo, da garanti della legalità dell’esecuzione della pena, a responsabili dell’eseguibilità delle condanne e delle modalità di esecuzione”.
I detenuti sono dunque soli. C’è il rischio che vengano dimenticati anche da chi oggi lotta affinché venga ripristinato il principio costituzionale dell’art.27, perché il silenzio intorno al pianeta carcere è grande e le battaglie per rimuoverlo sembrano perse in partenza.
Speranze, però, vi sono. Abbiamo avuto modo di constatare che all’interno delle strutture penitenziarie vi sono enormi risorse umane che andrebbero valorizzate e messe in condizione di operare meglio. La disponibilità incontrata verso la nostra iniziativa da parte di alcuni operatori, testimonia da un lato che c’è una grande volontà di miglioramento ed energie positive da valorizzare, dall’altra che c’è necessità che la c.d. “società civile” si occupi del dramma della detenzione, che non è affatto secondario, ma di primaria importanza perché collegato a parte dei problemi che affliggono il Paese.
Prima di esporre i dati di questa nostra prima ricerca, riportiamo le riflessioni che alcuni di coloro che abbiamo interpellato ci ha inviato. Li ringraziamo ancora.
In prefazione abbiamo riportato il pensiero del Sindaco di Napoli, l’On.le Rosa Russo Iervolino. Qui di seguito quello del Prof. Sergio Piro, psichiatra ed antropologo di chiara fama, del Dott. Francesco Saverio De Martino, Direttore della Casa Circondariale femminile di Pozzuoli, del Dott. Claudio Flores, Sociologo, Direttore Coordinatore dell’area pedagogica della Casa Circondariale di Poggioreale, del Dott. Stefano Vecchio, Direttore del Dipartimento Farmacodipendenze ASL NA1, dei Magistrati, Dott. Michele Del Prete e Dott.ssa Francesca Romana Amarelli, rispettivamente Presidente della Sezione Distrettuale di Napoli dell’Associazione Nazionale Magistrati e Magistrato di Sorveglianza presso l’Ufficio del tribunale di S.Maria Capua Vetere, dell’Avv. Francesco Piccirillo, già Presidente della Commissione per la stesura del Protocollo d’Intesa tra Ministero della Giustizia e regione Campania, firmato il 3 ottobre 2000 e del regista ed operatore teatrale Armando Punzo, fondatore ed animatore di Volterrateatro
PARTE PRIMA
R I F L E S S I O N I
VIOLENZA ADDIZIONALE di Sergio Piro
Per chi ha condotto lotte anti-manicomiali fin dal loro proporsi nella coscienza occidentale e che ha direttamente sperimentato, nel campo dell’esclusione psichiatrica, la validità inesorabile della proposizione «la libertà è terapeutica», i campi collegati del manicomio giudiziario e del carcere si presentano non solo come problema sociale, ma anche come tormento di coscienza e come paradosso epistemologico. Ciò perché la proposizione «la libertà è terapeutica» – che è un asserimento di diritti inalienabili – confligge con altri diritti dei cittadini, in una modalità dialetticamente affrontabile nel caso della salute mentale, incastrata in blocchi granitici nel caso della psichiatria giudiziaria, non affrontabile – per ora – nel caso del carcere.
Da questa rinunzia nascono sia la rassegnazione assistenziale dei settori progressisti di coloro che si occupano del problema o le bieche e camuffate espressioni di crudeltà vendicativa da parte di coloro che progressisti non sono.
Predicava il socialismo utopico dell’ottocento che una società socialista pienamente realizzata avrebbe abolito la pena, perché non vi sarebbe stato più il delitto. E poiché le utopie sono le uniche profezie della specie umana, può darsi che in un giorno lontanissimo tutto questo avvenga: ma fino ad allora bisognerà ingegnarsi a difendere (e con energia, e con efficacia!) la società e il diritto di tutti a una vita non sottoposta alla tirannide dal crimine, senza tuttavia cadere nella simmetria della violenza, nella potenza della vendetta, nella tortura del colpevole, nella sua uccisione fattuale anche là dove la pena di morte è abolita.
Qui si vuole ricordare solo un fatto primario, così ben noto a tutti coloro che si occupano di diritto. Nata la pena come esplicita vendetta, dapprima privata e poi pubblica, essa non ha perso affatto questo carattere intrinseco di violenza.
Ora se questo discorso sulla privazione di libertà come una vendetta sociale, che però appare paradossalmente necessaria per la tutela dei diritti degli altri cittadini, rimanda sine die una pratica risoluzione del paradosso e conferma per ora la privazione della libertà come pena, tuttavia v’è ben altro – nel mondo di oggi e in tutte le latitudini – che questo.
Tutto quello che eccede la privazione della libertà (dato per scontato che essa sia realmente la soluzione migliore per il terzo millennio e quelli successivi), tutto quello che eccede la privazione della libertà altro non può essere che arbitraria e illegale violenza: il freddo delle celle, il puzzo, la convivenza forzata, l’affollamento, le botte, i ricatti, la soggezione mortale, l’assenza di impianti igienici, la mancanza di cure mediche, le celle d’isolamento, i letti di contenzione, e così per un elenco che oggi ha tantissime voci. Si sta dicendo qui del modello carcerario prevalente in Italia all’inizio del secolo ventunesimo: se si parlasse del passato, dall’abate Faria ai Piombi, il museo degli orrori sarebbe una tristissima rassegna della cosiddetta «natura umana» e del carattere dello Stato detto moderno. Tutto ciò che, nel manicomio giudiziario e nel carcere, va oltre la pura e semplice privazione di libertà, si chiama «violenza addizionale».
Ora il campo di impegno (o di lotta, come si diceva in ere lontane) sembra essere proprio questo: la contestazione della violenza addizionale, la sua riduzione, la riaffermazione del diritto dei detenuti a vivere senza altre privazioni che quella. Tuttavia nessuno s’illuda che questo possa compiersi con facilità o con completezza: ciò perché la violenza primaria, per così dire «essenziale», della privazione della libertà genera a catena, senza posa, violenze addizionali e poi ancora altre violenze addizionali. L’azione riformatrice diviene così una solerte (e assolutamente lodevole) rincorsa di inedite negazioni di diritti, di nuove sopraffazioni, di altre omissioni di soccorso. Senza fine.
Tuttavia non sempre è possibile che le manifestazioni della violenza addizionale e gli impegni (lotte) contro di esse possano essere realmente antagonizzate e non risulta dunque sempre efficace l’occultamento della grande violenza iniziale (la privazione della libertà).
Proprio dall’area della psichiatria di liberazione viene qualche esempio significativo e sintomatico. In regime di detenzione la massima parte delle terapie somatiche è praticabile (i centri clinici e i ricoveri in Ospedale garantendo l’assistenza nelle condizioni più gravi). Ma in carcere non può essere utilizzato seriamente nessun trattamento di psicoterapia, di sistematico trattamento esistenziale, di attività terapeutica «trasformazionale».
Ora v’è subito da fare una precisazione: secondo i canoni operazionali ed epistemologici prevalenti nella letteratura e nella prassi internazionali, deve considerarsi come «psicoterapia» non una qualunque azione o intervento di sostegno, gratificazione, consolazione, appoggio, relazione o altro aspetto umanitario di questo tipo, bensì un duro lavoro di indagine sull’interiorità, sulle relazioni, sulla storia singolare, sugli sviluppi di personalità, sulle simbolizzazioni, sulle dinamiche interne, sulle compensazioni e supercompensazioni, etc. condotte da operatori che abbiano avuto una lunga preparazione tradizionale o innovatrice.
Questo tipo di attività trasformazionale sistematica («psicoterapia» nella dizione tradizionale) presuppone fondamentalmente:
1) Il progressivo passaggio da una fase di chiusura e di diffidenza del paziente a una fase di collaborazione e di apertura. Ciò comporta un lavoro peculiare e implica una sostanziale neutralità del curante: in nessuna istituzione (carcere, reparto ospedaliero giudiziario, manicomio giudiziario, etc.) un rapporto così profondo e decisivo può realizzarsi poiché vi è, senza scampo, un’identificazione del curante con l’istituzione, cioè con figure a funzione normativa, informativa, giudicante, cogente, condizioni queste che impediscono la formazione di un transfert in cui il curante sia vissuto e trattato come figura emozionale esclusiva della propria vita privata, intima, segreta. Nel carcere, nel manicomio giudiziario, nei centri medici carcerari, questa identificazione pubblica e normativa delle figure istituzionali è tanto grande da sbarrare ogni possibilità di confiance psicoterapeutica, talora anche di semplice inizio di un rapporto e non puramente «umano».
2) Una progressiva, graduale e calibrata ripresa di rapporti naturali di vita nell’ambiente e nella famiglia. Ciò è possibile solo nella spontaneità di una vita non reclusa in un’istituzione segregante; questo fattore terapeutico è essenziale; superare la chiusura esistenziale al futuro (così tipico nella depressione) e lo sbarramento del pessimismo disforico in una cella o in reparto clinico carcerario è realmente impossibile; vivere in un ambiente in cui siano possibili rapporti interumani soddisfacenti non è più momento coadiuvante di una terapia, ma assume in questo caso la dignità di momento strutturante, parzialità necessaria di una trasformazione terapeutica in senso antropologico.
3) Il ripristino della prassi. È un altro momento strutturante, non facoltativo né adiuvante, ma indispensabile come la sottrazione al freddo di un ammalato di polmonite: da qualunque punto (d’indirizzo, di dottrina, di scuola) la depressione e le condizioni adiacenti vengano considerate, il blocco della prassi rimane pur sempre uno dei momenti costituenti di ogni condizione di sofferenza umana; il ripristino della prassi è possibile solo là dove esistono condizioni tali da permettere una gradualità nell’operare, nell’agire, nel cimentare se stessi nelle attività, cioè in libertà.
Questo esempio sull’impossibilità istituzionale di una «cura» sistematica della sofferenza, è utile qui per ricordarci la distinzione del tutto artificiosa fra la violenza sostanziale e necessaria della privazione della libertà e la violenza «addizionale» derivata dalla negazione (non contemplata dalla pena) di altri diritti come quello di curarsi.
Il problema di fondo rimane dunque inalterato nonostante tutti i nostri impegni, sacrosanti e inevitabili, contro la violenza addizionale del carcere. Un ottimismo millenario che prevede di abolire per sempre la guerra dalle condotte umane, risolverà contestualmente il problema della pena. Gli impegni parziali contro la violenza addizionale del carcere tendono a diventare così l’impegno a una trasformazione pacifica dell’umanità, a un superamento definitivo delle violenze che oggi appaiono «necessarie».
IL CARCERE POSSIBILE di Francesco Saverio De Martino
Nell’immaginario collettivo la prigione rappresenta l’ignoto e perciò gode di una stretta prossimità con la morte che è il massimo dell’ignoto e della privazione di tutte le libertà.
Questa rappresentazione non è solo il frutto di un pregiudizio, ancorandosi, invece, ad una tradizione consolidata che fa del carcere una realtà endogamica.
Ma ogni endogamia è asfittica: i college, i campus universitari, i gruppi esclusivi, le riunioni politiche, le associazioni culturali.
Ancora di più lo è il carcere cui non si accede mediante una volontaria iscrizione e verso il quale, evidentemente, non si sviluppa, per fortuna, nemmeno un senso di appartenenza.
La condizione detentiva in quanto tale, al di là di tutti gli apprezzabili sforzi del legislatore e degli operatori, tende ad appiattire una persona ad un reato, ad uno stigma ghettizzante.
Saltano le coordinate spazio-tempo.
Più correttamente si potrebbe dire che il carcere è limitazione di spazio compensata da eccesso di tempo. Se di compensazione si può parlare…
Un tempo dilatato, scandito dalla battitura delle inferriate e da un cadenzato sbattere di porte, senza maniglie.
Non voglio indugiare ulteriormente su questi aspetti che pure meriterebbero approfondimenti.
Anche perché sono consapevole che la propedeutica, branca peraltro obsoleta della comunicazione, la propedeutica, dicevo, sull’iniziazione al perdonismo ed alla comprensione non trova molti iscritti.
La società era ed è pervasa da grandi paure, a volte irrazionali: non si capisce ad esempio perché una rapina al Banco Ambrosiano generi allarme sociale, il crack del Banco Ambrosiano no; paure che generano una richiesta di sicurezza in un mondo che produce insicurezza da ogni parte.
Da qui la richiesta indiscriminata di pene esemplari. Da qui le reazioni inorridite al fatto che i detenuti hanno il televisore a colori, vanno in permesso, ecc..
Ma, come ci insegna la vecchia storia, la paura bussa alla porta, la fede, ognuno la intende come vuole se può servire allo scopo, la fede, dicevo, va ad aprire, fuori non c’è nessuno.
Bisogna, quindi, trovare il coraggio di “aprire”.
Non si tratta di una scelta ideologica ma di un’insopprimibile necessità.
In quest’ottica va probabilmente letto il Nuovo Regolamento di Esecuzione del 30 giugno 2000 n° 230, nato dall’esigenza di adeguamento della normativa penitenziaria alla indicazioni internazionali.
Apprezzabile è lo sforzo del legislatore, per un verso teso a formulare una regolamentazione che consenta l’esercizio da parte dei detenuti di tutte le libertà che la condizione detentiva in sè non esclude, con conseguente riduzione di ogni forma di restrizione non connessa all’esecuzione della pena; per un altro attento a fissare standards qualitativi della condizione detentiva rispettosi della dignità e della personalità dei ristretti ed a favorire percorsi trattamentali più concreti ed incisivi.
Rimangono, peraltro, interrogativi e perplessità.
Pena breve ma senza sconti o fuga dalla pena detentiva? Depenalizzazione o diritto penale minimo? E’ giusto risolvere nella sede del processo o dell’esecuzione quello che è un problema sostanziale? E con quali risultati?
Si è chiesto al carcere la composizione di istanze antitetiche, con torsioni adattive della pena che non hanno soddisfatto né le istanze forcaiole né quelle di recupero.
La legge di riforma penitenziaria, che pure ha rappresentato un valido strumento di controllo del carcere e dei detenuti, aprendo il carcere alla società esterna e contribuendo notevolmente ad una umanizzazione del regime detentivo, ha mostrato, tuttavia, notevoli limiti quanto alla rieducazione ed al reinserimento.
E non poteva essere diversamente se ricordiamo l’insegnamento per il quale “la storia è servita a questo, a fare intendere all’uomo che egli è libero e lo è per essenza”; se consideriamo quanto ardua possa essere la “rieducazione” di chi vive, nonostante gli enormi sforzi degli operatori, una condizione di deprivazione affettiva e sensoriale; se riconosciamo che il reinserimento sociale presuppone efficienza degli apparati pubblici e delle politiche sociali
La realtà sappiamo che è diversa.
L’esperienza purtroppo, ci insegna, che anche quando, per la concomitanza di circostanze favorevoli – concreta offerta trattamentale, adesione ad essa dell’interessato, con conseguente rielaborazione in termini progettuali della propria esistenza – il percorso detentivo di un soggetto, si conclude positivamente, le immutate condizioni socio ambientali gli ripropongono inevitabilmente la strada della prigione.
Tale situazione evoca, mutadis mutandis, la “prova” alla quale potevano sottoporsi le “streghe” nel periodo delle inquisizioni, al fine di evitare il rogo immediato, prova forse ereditata, attraverso i secoli, dal rito ordalico: l’inquisita veniva immersa nell’acqua dopo essere stata saldamente legata ad un’asse; se affondava era innocente ma annegava, se galleggiava era colpevole e avviata al rogo…
Ed allora, in attesa della “città incantata” che sappia affrancarsi dalla necessità del carcere, dobbiamo pensare ad un diritto penale minimo, ricostruito sull’offesa di interessi preesistenti alla norma, costituzionalmente rilevanti.
Soltanto ai mala in sé, non anche ai mala quia proibita va circoscritta l’oggettività giuridica del reato.
Per ragioni costituzionali, oltre che di politica criminale, si impone di ripercorrere a ritroso quel processo di criminalizzazione che, grazie soprattutto alle leggi speciali, ha portato ad un’inflazione di figure criminose, con buona pace della prevenzione.
Soltanto muovendosi in questa direzione si potrà restituire al diritto la sua funzione più nobile di strumento di direzione sociale, evitando che possa invece essere considerato come una sovrastruttura di una sottostante struttura economico-politica.
CARCERE ED INTERVENTO PEDAGOGICO: ANALISI DELLE UTOPIE POSSIBILI di Claudio Flores
Alta sulle mura delle carceri di un paese scandinavo sventola talvolta una bandiera bianca.
Non è un segno di resa.
E’ lì per comunicare a tutta la cittadinanza che il carcere è vuoto. Sì, vuoto, senza alcun detenuto.
Quando qualcuno viene arrestato, la bandiera bianca viene sostituita con una bandiera nera.
La bandiera nera vuol dire che qualcuno è detenuto, che per tutti questo deve essere motivo di riflessione e che tutti, forse, hanno un po’ fallito .
Finchè sventola la bandiera nera tutti hanno il dovere morale di riflettere e di rimediare .
Sappiamo bene di vivere in una realtà sociale diversa.
Il persistere di un male antico, la frammentazione dei riferimenti sociali, l’ombra delle vecchie e nuove dipendenze, troppi antri oscuri ove i percorsi educativi si trasformano in scuole di sopraffazione e violenza.
La realtà campana è caratterizzata dal riprodursi sequenziale delle stesse dinamiche devianti, i contrasti e le lontananze si acuiscono, intere aree sono non sono solo controllate dalle organizzazioni criminali ma soprattutto sono culturalmente infettate dalla drammatica assenza di alternative alle vie della violenza e del degrado.
I giovani, i più esposti, sono lasciati soli.
Gli stranieri sono facile preda delle organizzazioni criminali, i ragazzi si muovono incerti, spesso senza nessuno con cui parlare delle proprie paure.
Entrano a Poggioreale senza meravigliarsi, quasi sempre tranquilli.
Sanno del sovraffollamento del carcere anche perché sono forse 20 anni , almeno, che tutti ne parlano e poi, spesso, a Poggioreale sono già stati.
Nel carcere tessono relazioni, si informano sulle procedure, cercano i colloqui con gli Educatori, riescono ad adattarsi anche quando sono 12 o 16 in una stanza con un solo bagno.
Organizzano turni, scendono pochi alla volta dalle brande, perché talvolta , a terra, non c’è spazio per tutti.
Nei passeggi vanno due ore al giorno,ove è possibile organizzano partite di calcetto.In qualche modo il tempo passa, l’Avvocato, i familiari, la doccia, la Messa, la spesa, il giornale della Caritas, la televisione, a volte qualcuno va a scuola o ai corsi di formazione o alle catechesi.
Gli anni passano e abbiamo sempre più iscritti alle scuole.
E sempre meno Insegnanti.
Nel 2002 almeno un centinaio di detenuti ha conseguito a Poggioreale un titolo di studio.
Parecchi altri una qualifica professionale, abbiamo realizzato e portato a termine corsi di Serigrafia, Ceramica, Ortoflorovivaistica, Arte presepiale.
Speriamo nei corsi che permettano una formazione idonea al lavoro autonomo.
Crediamo poco alla occupabilità degli ex detenuti.
Coloro che rientrano in carcere ci raccontano di un mondo del lavoro impermeabile,una assenza di prospettive concrete che ti annulla dentro portandosi via anche la speranza.
Quando c’è un parente o un amico con qualche ditta magari ti assume.Ma spesso è solo perché questo favorisce la concessione della semilibertà o dell’affidamento in prova al Servizio Sociale. Lavoro vero, poco o niente per tutti .
Molti non vanno a lavorare per scelta.
Nell’edilizia, dicono, pagano 150 euro alla settimana, per molti è una miseria,cosa daranno ai figli, alle loro famiglie, come andare avanti?
La maggior parte ha ormai fermamente introitato le modalità adattive dell’ambiente sociale di provenienza, sembrano su binari definiti senza possibili variazioni di percorso.
La finalità rieducativa della pena è un’astrazione.
Ma le esigenze della popolazione detenuta, una montagna che pesa.
La richiesta di alfabetizzazione ,di cultura,di formazione,di consulenza,di confronto è un magma che si diffonde ovunque.
Educare in carcere direi è assolutamente possibile.
Abbiamo con questi ragazzi un’ occasione unica.
Possiamo far sentire loro per la prima volta e con tenacia l’esistenza di una altra città,di un’altra cultura ,di un altro modo di intendere le cose e la vita.
Certo non possiamo farlo riproducendo in carcere gli stessi meccanismi di sopraffazione e di violenza che i detenuti hanno già conosciuto fuori.
Perché un altro carcere è possibile.
Un carcere ove vi sia un adeguato numero di Educatori e Psicologi ,ad esempio,quando oggi il rapporto, a volte , è di addirittura un Educatore ogni 400 detenuti. E per gli Psicologi va ancora peggio.
Un carcere con più spazi, laboratori, palestre. E anche con più personale di Polizia Penitenziaria,oggi costretti a turni molto pesanti,a volte saltano riposi e ferie.
E poi educare in carcere è necessario.
Per cominciare possiamo insegnare a scrivere e leggere visto che la percentuale di analfabetismo totale e di ritorno,per esempio a Poggioreale ,è del 30% degli ospiti e ci sono tanti stranieri con scarsa conoscenza della lingua.
Poi avviare una formazione professionale che privilegi le professionalità tecniche maggiormente richieste sul mercato, anche avviando i giovani ad attività commerciali con la previsione di prestiti agevolati per l’apertura di attività autonome in regime di affidamento in prova ai servizi sociali.
Porsi seriamente il problema strutturale, reparti, a volte interi Istituti sono ormai obsoleti e non rispondono agli adeguamenti previsti dal nuovo regolamento di esecuzione.
Sensibilizzare gli enti locali a che creino opportunità e sinergie .
Educare in carcere è una operazione di sicurezza sociale.
Certo, è il carcere l’unico luogo ove seriamente possiamo parlare, insegnare,discutere e perché no convincere chi solitamente vive nella città illegale. Un’ opportunità unica ed irripetibile.
Io voglio ricordare i tanti che in carcere lavorano con tenacia,senza arrendersi, soli e in silenzio, gli assistenti volontari,gli agenti , i medici, gli infermieri,gli insegnanti,i docenti della formazione professionale.
E magari sognano quella impossibile bandiera bianca,che sarebbe per tutti,per una volta,un segno di vittoria.
PER UN CARCERE MENO TOSSICO : MENO TOSSICI IN CARCERE di Stefano Vecchio
Il fenomeno delle tossicodipendenze è stato da sempre collegato, quasi identificato, con la criminalità, la malattia infettiva ( più di recente), l’ in-sicurezza personale e sociale, l’istituzione carceraria.
Questa equivalenza tossicodipendenza-paura-insicurezza è stata ed è un problema per chi opera nei servizi ed è impegnato a ricercare strade per il reinserimento sociale dei consumatori di droghe . Infatti se il senso comune, il cittadino medio, non riconosce diritti di convivenza e di cittadinanza a soggetti che considera pericolosi e di conseguenza li emargina, questi stessi soggetti considereranno l’emarginazione come il proprio luogo di esistenza e tenderanno a non riconoscere le normali regole di comportamento della convivenza come proprie . D’altra parte il mercato delle droghe è illegale ed è il luogo dove si svolge gran parte della vita dei tossicodipendenti, illegale sarà quindi tendenzialmente il loro comportamento. Vi è cioè una reciprocità speculare nei comportamenti emarginanti dei cittadini non consumatori e dei tossicodipendenti stessi che alimenta i comportamenti di esclusione ed auto esclusione . Il pregiudizio dominante sulla tossicodipendenza è in gran parte un ostacolo ad affrontare in modo incisivo le questioni sulle quali sono fondate le paure stesse che riproducono il pregiudizio: se non vi è più tolleranza e non si riducono le distanze con i tossicodipendenti, questi saranno sempre meno disponibili a modificare i propri comportamenti e d’altra parte se non si inviano segnali di riduzione dei comportamenti sociali a rischio( meno siringhe abbandonate e meno scippi )anche attraverso appropriate politiche di riduzione del danno sociale e sanitario atteggiamenti più tolleranti e di disponibilità alla convivenza da parte della popolazione saranno quantomeno problematici .
Il gatto che si morde la coda ! In realtà questo perverso meccanismo circolare che riproduce un pregiudizio “duro come una pietra”costituisce uno degli ostacoli maggiori al nostro lavoro nei servizi socio-sanitari teso a recuperare e reinserire soggetti tossicodipendenti in cura. Il riprodursi continuo ed in forma allargata di questo pregiudizio genera l’esclusione nel posto di lavoro, nella ricerca del posto di lavoro, nella famiglia ( con un addizionale di sofferenza), nella convivenza nella città ,tra i pari ed anche , a mio parere , una delimitazione dello spazio di esistenza per chi consuma droghe nella illegalità e nel circuito microcriminale con tutto ciò che questo può significare nei condizionamenti politici e delle forze dell’ordine.
Purtroppo la scarsa attenzione dei mass media sugli aspetti sociali del fenomeno e la maggiore se non unica attenzione sui problemi della microcriminalità, le politiche insufficienti e le campagne colpevolizzanti e di attacco al servizio pubblico che in modo incomprensibile settori delle forze politiche governative ( deputate a difendere il sistema pubblico) anche in questa fase stanno promovendo,non solo non aiutano a ricercare misure di intervento mirate a contenere i danni sanitari e sociali del consumo di droghe ma consolidano e diffondono un senso comune di intolleranza e di odio per il diverso in generale.Tali comportamenti politici-massmediologici inducono un bisogno di sicurezza che non è collegato ad un miglioramento dei rapporti interpersonali , alla tolleranza, alla cura di chi vive momenti di crisi ma all’affermazione di steccati protettivi tra inclusi ed esclusi delegando all’ordine pubblico la gestione di questo bisogno indotto. Preoccupa che insieme a questa nuova war-drug ideologica vi siano tagli a quelle pur deboli politiche di inclusione sociale inaugurate dalla L n. 328/00 come ad esempio quelle mirate alle misure di sostegno al reddito od alle politiche sociali degli enti locali.
In questa atmosfera tesa ,che nella nostra città viene vissuta con toni drammatici per l’inasprirsi di alcune contraddizioni sociali legate alla diffusione di realtà sotto la soglia della povertà , l’istituzione carceraria rischia di assumere un ruolo di “discarica “ dei fenomeni sociali (come la tossicodipendenza) a causa dell’indebolimento delle misure di protezione e di cura determinate dalla crisi del welfare state.
L.Wacquant, ha descritto il processo sempre più esteso negli Stati uniti di trasferimento dallo stato sociale allo stato penale delle misure di intervento sulla popolazione nera e delle etnie sudamericane identificandola come una nuova strategia di controllo sociale di popolazioni non più produttive sul mercato, per effetto dei processi tecnologici e considerandola come una estrema conseguenza della mercificazione dei rapporti sociali nella società americana
Lo studioso sostiene che tale processo si basa sul principio della “tolleranza zero” e da vita ad “ un inedito continuum carcerario-assistenziale…una metropoli punitiva riorganizzata…” fondata sulla” simbiosi tra politica, mass media, segregazione etnorazziale…”. Il meccanismo rende “invisibili” i soggetti inutili e minacciosi e li “ riattiva sotto mentite spoglie : la criminalità…”
In Italia i processi sono più lenti, la cultura punitiva ha una forte componente ideologica mentre la cultura e le pratiche rivolte alla cura dell’altro e del diverso ed alla cittadinanza sono più solide e diffuse ed in qualche modo pesano sugli orientamenti politici nazionali e locali . Non ci troviamo di fronte ad processo così vasto come quello descritto da Wacquant, anche se vi sono segnali che ci preoccupano come quelli prima citati che andrebbero confrontati con l’aumento della popolazione detenuta nelle carceri italiane negli ultimi anni, che risultano abnormemente sovraffollate ( cfr inchiesta sulle carceri italiane dell’Associazione Antigone) e tra questa dei detenuti tossicodipendenti. Dall’inchiesta citata, risulta che la popolazione tossicodipendente al 31/12/001 è al secondo posto negli istituti di pena italiani con il 27,23 % per un totale di 14.440 persone su 56.736 detenuti complessivi.
Alternative alle pene e custodia attenuata
E ‘ sempre controversa la valutazione sul significato riabilitativo che la Costituzione assegna alle istituzioni detentive. Sulla base della mia esperienza i tossicodipendenti che hanno subito una o più pene detentive peggiorano negli stili di vita ed in quelli delinquenziali, in qualche caso si collegano con le organizzazioni criminali , riducono la stima di sé , si adattano in casi frequenti all’evenienza della detenzione imparando a sopravviverci …
In Italia, vista la grande frequenza di reati connessi con il consumo di sostanze ( 20’91 % dei reati ascritti nel 2001) è stato introdotto da tempo il principio dell’alternativa alle pene acquisito dal codice penale nella legislazione ordinaria per le tossicodipendenze (DPR n. 309/90 ) . Questo principio normato , interessante sul piano di un controllo sociale “morbido” non ha trovato una applicazione adeguata in quanto, a mio parere, non vi è stata una concertazione tra le diverse istituzioni coinvolte ( M. Sanità, M.Giustizia, e le relative proiezioni territoriali di servizi…) né da parte delle politiche nazionali e locali. Non mi avventuro su un’analisi più generale delle possibili ragioni della mancata applicazione diffusa di questa norma e preferisco fare alcune considerazioni pragmatiche nel merito.
E’ impensabile proporre una ipotesi di alternativa alle pene se le opportunità di attuazione concreta non sono ben delineate dai Servizi territoriali alle Comunità terapeutiche, e se non si pensa di istituire percorsi di socializzazione specifici integrati… e se in definitiva non vi è una strategia orientata al recupero ed alla integrazione sociale attraverso la conservazione delle risorse personali ( lavoro, abilità ) alla valorizzazione di competenze ed alla facilitazione di percorsi di inclusione ( lavoro, famiglia, quartiere…)
E d’altra parte come si poteva pensare che una effettiva estensione di queste misure poteva realizzarsi senza indicare chiaramente in che sedi e con quali modalità Magistrati, Servizi dell’Area penale esterna ed operatori dei SerT dovessero raccordarsi per la valutazione e le modalità di esecuzione eventuale delle misure alternative.
Inoltre, mi permetto di dire che sarebbe opportuno un maggiore raccordo degli avvocati attraverso i propri organi d’ associazione e di rappresentanza con i servizi pubblici per concordare le modalità e le procedure ed evitare richieste non attuabili o allungamento dei tempi con il rischio di decorrenza dei termini per l’attuabilità della misura alternativa …
Un caso a parte sono gli ICAT, Istituti a custodia attenuata. Tali istituti , a mio parere sono fondati sul principio contraddittorio dell’obbligo alla riabilitazione , che pure l’alternativa alla pena incarna ma almeno in regime di libertà. Il binomio pena/educazione è discutibile e si rischia di introdurre pratiche ricattatorie all’interno di una istituzione già di per sé punitiva che potrebbero determinare effetti controproducenti di rivalsa o di inibizione psicologica oltre che di ulteriore discriminazione .
Su questo argomento ritornerò in quanto ritengo che l’ analisi critica debba essere orientata ad identificare i limiti ed i rischi di una prospettiva di intervento per poterne esplorare i possibili vantaggi con realismo pragmatico.
Le politiche ed il DL 230 / 99
Le leggi italiane in materia sociale e sanitaria sono spesso avanzate sul piano dei principi ma poco prescrittive sul piano delle procedure o delle responsabilità delle prescrizioni organizzative demandando in modo vago alle spontanea disponibilità alla collaborazione di operatori ed istituzioni una materia complessa e delicata.
Il caso del DL n. 230/99 rientra in questa categoria di norme. Infatti il DL afferma il principio importante che garantisce un diritto fondamentale ed inalienabile come il diritto alla salute ai cittadini anche quando sono ristretti in carcere dove per definizione i diritti di cittadinanza sono sospesi per il periodo di esecuzione della pena.
Nella realtà una procedura vaga e poco chiara sulla sperimentazione ha sospeso l’applicazione della legge tranne che nella parte che riguarda l’assistenza ai tossicodipendenti e la prevenzione collettiva che , com’è noto , sono stati invece direttamente affidati alle strutture del SSN cioè ai servizi delle ASL.
Anche per quanto riguarda questa parte del DL n. 230 che stabilisce che ai tossicodipendenti detenuti devono essere garantite le stesse cure che vengono effettuate ai tossicodipendenti in regime di libertà e nonostante il Progetto Obiettivo nazionale indichi correttamente e chiaramente che tali servizi devono essere integrati nel sistema dei servizi che agiscono nel normale circuito sanitario della ASL è stupefacente la mancanza di indicazioni sulle modalità di un passaggio così delicato di competenze da un Ministero come quello della Giustizia al Ministero della Sanità permanendo l’attività assistenziale all’interno del contesto carcerario . La vicenda ha assunto toni quasi paradossali sul trasferimento del personale che la continua reiterazione di un decreto ministeriale ha rimandato fino alla situazione attuale di “smarrimento” al punto tale che anche quando il trasferimento avverrà creerà inevitabilmente una nuova categoria di operatori precari.
Politiche ed iniziative locali
A Napoli il rapporto tossicodipendenza – criminalità è sempre stato particolarmente drammatico e visibile al punto tale da connotare la tossicodipendenza come la questione cardine della sicurezza personale e collettiva nella città… Io credo che questa affermazione sia vera anche se parziale nel senso che le politiche sociali e socio-sanitarie e le politiche della sicurezza e dell’ordine pubblico si dovrebbero integrare in modo forte e dovrebbero essere coordinate sia sul piano istituzionale che operativo. Non mi pare che attualmente vi sia questa impostazione da parte delle istituzioni né che vi sia da parte degli stessi operatori della Giustizia, della Sanità e del Sociale , nel pubblico e nel terzo settore una particolare sensibilità in questa direzione .
Anzi la distanza è grande e questa iniziativa della Camera Penale di Napoli è particolarmente opportuna per affrontare il problema dalle diverse visuali e posizioni istituzionali e provare a gettare le basi per una intesa a più voci.
L’intervento negli Istituti di pena a Napoli è sempre stata problematica anche nel senso che le due istituzioni, sanitaria e giudiziaria, fini ad oggi non erano riuscite a trovare un’ intesa nel merito.
Dopo due anni dalla approvazione del DL n. 230 a Napoli si è aperto un processo nuovo impegnativo ma produttivo che ha visto la ASL NA1 con il Dipartimento delle Farmacodipendenze, e le Direzioni dei due Istituti di pena ( la Casa Circondariale di Poggioreale ed il Centro Penitenziario di Secondigliano ) protagonisti di una intesa sottoscritta in un Protocollo operativo che stabilisce le modalità di intervento dei servizi di assistenza ai tossicodipendenti detenuti come prescrive la legge citata nell’ambito di una più ampia collaborazione tra le due istituzioni.
In particolare nella Casa Circondariale di Poggioreale dove vi è il maggiore afflusso e turn-over di tossicodipendenti ( tra i sette ed i dieci alla settimana ) il percorso non è stato semplice, si è sviluppato con lunghe discussioni ed intese successive sui vari problemi che la nuova organizzazione dell’assistenza ha determinato sul piano organizzativo e sul piano del funzionamento del servizio. In particolare sottolineo la positiva collaborazione con la Direzione della Casa Circondariale che pur partendo da posizioni, comprensibilmente caute, ha mostrato sensibilità ed elasticità nell’approfondimento delle strategie più adeguate per identificare gli spazi ed i riadattamenti organizzativi interni all’istituto nello spirito di una reciproca collaborazione. Mi preme sottolineare questo aspetto non per piaggeria ma per specificare che ritengo la fatica della collaborazione tra “ diversi” come il fulcro delle azioni locali in mancanza di chiare indicazioni normative e di risorse aggiuntive. Anzi credo che queste forme di lavoro di rete possano rappresentare una base importante per una sollecitazione di impegno ai livelli istituzionali del governo regionale e locale, oltre che un modo di operare per valorizzare le risorse a favore dei cittadini.
In attuazione del P. Obiettivo Nazionale è stato istituita una Unità Operativa Area Penale, coordinata dal dipartimento delle Farmacodipendenze della ASL NA1, che attraverso due sottoequipe ( una per ogni istituto di pena ) costituite da operatori pubblici e “transitoriamente convenzionati” con il Ministero di Giustizia, ha progressivamente cominciato a prendere in carico tutte le pratiche inevase di richiesta di alternative alle pene, e ad inserire gradualmente i trattamenti con i farmaci sostitutivi per la gestione della sindrome di astinenza, così come avviene nelle U OT Sert che assistono i liberi,garantendo la continuità terapeutica per i detenuti che erano in trattamento prima della detenzione ( sono la maggioranza ) ed il rapporto con i SerT di provenienza. E’ bene considerare che in tal modo si evitano inutili sofferenze per la gestione della sindrome di astinenza , si seguono le pratiche di alternativa alle pene che in alcuni casi non procedevano solo per la difficoltà dei detenuti a comunicare con l’esterno od anche semplicemente per l’ignoranza delle procedure, si evitano interruzioni di trattamenti e di presa in carico da parte dei numerosi tossicodipendenti che transitano in carcere .
Ma, sempre in linea con quanto indica il P. Obiettivo Nazionale citato, la UOT SerT dell’Area Penale opera anche nel senso di coordinare tutte le iniziative connesse alla esecuzione delle alternative alle pene ed alla continuità della presa in carico successiva alla estinzione della pena … cioè cura il raccordo tra le attività “ intramurarie ed extramurarie”.
Per quanto riguarda il Centro Penitenziario di Secondigliano l’attività dl servizio si è concentrata all’assistenza dei pochi detenuti del Centro Clinico, sieropositivi e tossicodipendenti, ed è in preparazione, d’intesa con il responsabile dell’ICAT , un piano di ridefinizione delle attività dell’Area Verde a custodia attenuata incentrato sui principi educativi e della socializzazione piuttosto che premiali con la collaborazione di alcune realtà del Terzo settore che hanno dato la propria disponibilità . Anche in questo caso rilevo la collaborazione positiva con la Direzione e con il Responsabile dell’ICAT interno .
Certo siamo agli inizi dell’opera di costruzione di una assistenza capillare ed efficiente e con ritardo rispetto alla legge, ma sottolineo che tutto quanto realizzato, in una realtà di forte scarsità di risorse a fronte di una complessità tale della realtà carceraria napoletana mi porta a considerare una vera e propria impresa quanto realizzato grazie all’impegno dei pochi operatori e della capacità a dialogare da parte del Dipartimento delle Farmacodipendenze e delle Direzioni degli Istituti di pena al punto che se l’assistenza non fosse stata iniziata …nessuno se ne sarebbe accorto!
Qualche riflessione
Naturalmente è illusorio che ad un detenuto tossicodipendente possano essere garantite le stesse opportunità terapeutiche e riabilitative offerte ai tossicodipendenti non detenuti per il semplice motivo che l’obiettivo di ogni progetto terapeutico è quello di un recupero possibile di integrazione sociale , che è ciò che seppure transitoriamente è negato ad un detenuto. La normativa infatti da questo punto di vista , pur facendo fare importanti passi in avanti presenta, a mio parere, elementi poco chiari ( ideologici ) e quasi per nulla prescrittivi, determinando problemi seri per la sua applicabilità. Il caso eclatante citato delle risorse e del personale , in particolare , è sintomatico di questo scarto tra principi ed indicazioni attuative .
Sicuramente il nuovo sistema di collaborazione tra i due Ministeri che però affida la responsabilità diretta dell’assistenza alle ASL tutela la salute dei detenuti tossicodipendenti in modo più adeguato non fosse altro perché rientra nelle proprie competenze, così come al Ministero della Giustizia compete l’amministrazione della Giustizia … Inoltre consente di mantenere , per quanto è possibile, una relazione terapeutica che può diventare una componente di salvaguardia della integrità psico-fisica che ogni forma di esclusione dal sociale, dal proprio contesto naturale di vita determina soprattutto a chi ha commesso un reato non tanto per uno stile microcriminale proprio ma collegato alla condizione di tossicodipendenza.
Come si vede si può parlare di contenimento e riduzione dei danni e di tentativo di ridurre la discontinuità tra la detenzione e la realtà esterna. In questo senso possono essere riconsiderati, ripeto in modo pragmatico ed operativo, tutti i luoghi dell’esecuzioni delle pene e le opportunità offerte dalle leggi secondo una logica di cooperazione tra enti ed operatori diversamente collocati .
Il ruolo delle Istituzioni
All’interno di questo discorso mi preme , anche se di sfuggita, sottolineare che , a mio parere qualunque politica che cerchi di spostare la bilancia di un intervento punitivo-coercitivo come le detenzione, dalla parte di un reinserimento sociale possibile non può prescindere dalla considerazione della necessità di azioni rivolte al superamento del pregiudizio che grava come un macigno sui tossicodipendenti e che danneggia sia questi che i non consumatori di droghe per l’unico risultato che ottiene : l’aggravamento dell’ostilità e del disagio di entrambi. A tal proposito sarebbero utili campagne diffuse ( ne stiamo progettando una con questa impostazione con il Comune di Napoli ) mirate sia ai consumatori di droghe che ai non consumatori per sollecitare una nuova tolleranza reciproca piuttosto che diffondere inutili e falsi allarmi. Naturalmente siffatte iniziative non reggono se non sono associate a misure politiche orientate a ridurre i danni provocati dell’illegalità delle sostanze e che è alla base dei comportamenti microcriminali attraverso il miglioramento del funzionamento capillare dei servizi e dell’accessibilità delle terapie e degli interventi di strada e di bassa soglia.
Su questi aspetti ritengo che vi sia una sottovalutazione delle ASL determinata anche da una mancanza di chiare indicazioni di priorità a da una scarsa pressione dell’opinione pubblica. In tal senso l’impegno del Dipartimento delle Farmacodipendenze è teso a razionalizzare e migliorare le diverse aree di intervento ed a concordare con la Direzioni della ASL NA1 un più incisivo ed ampio intervento .
Inoltre tale ampliamento e diffusione capillare di interventi di servizi tesi a contenere i comportamenti a rischio sanitario a sociale dei consumi di droghe illegali, dovrebbe essere accompagnato da interventi di accoglienza dei senza dimora, non sempre senza fissa dimora, particolarmente carenti a Napoli , tesi a creare barriere protettive tra la perdita di risorse e la perdita di sé che spinge verso comportamenti rischiosi sociali e sanitari per se stessi e per gli altri.
Infine cito la necessità di realizzare misure di sostegno al reddito come il reddito di cittadinanza, in quanto in una realtà come quella meridionale e specificamente napoletana segnata da una crescente disoccupazione che interessa proprio le fasce di età più interessate al consumo di droghe ed alla detenzione, questa questione è strutturale per la convivenza , la sicurezza, la prevenzione della microcriminalità il successo delle azioni mirate ai tossicodipendenti, la riabilitazione negli istituti di pena.
Non mi sto riferendo ad astratti principi o desideri ma a concrete possibilità, ad esempio di competenza del Comune ( RMI) e della Regione Campania che ha annunciato da tempo un progetto di sostegno al reddito, si spera con un utilizzo largo che tenga anche presente le questioni che ho affrontato.
Napoli : un laboratorio di sperimentazione… :
Napoli è una fucina di idee e di esperienze che non sempre si riescono ad incontrare ed a mettersi in rete.
L’invito della Camera Penale di Napoli a dibattere sui temi del carcere potrebbe essere anche l’occasione per lanciare un piano cittadino che si proponga come un laboratorio di sperimentazione di pratiche integrate interistituzionali e tra diversi operatori e soggetti professionali impegnati .
In particolare si potrebbe promuovere un tavolo permanente di approfondimento delle diverse questioni ed attivare le collaborazioni tra Magistrati operatori dei servizi Socio-sanitari, Avvocati… sollecitare forme di formazione integrata tra servizi, forze dell’ordine finalizzate a coordinare attività che si incrociano senza incontrarsi e che probabilmente potrebbero trarre vantaggi a vicenda da accordi bilaterali.
Infine si potrebbe sottoscrivere un invito alla Regione Campania e al Comune di Napoli perché inseriscano in modo esplicito e preciso la problematica dei detenuti all’interno dei propri programmi di politica sociale e socio-sanitaria.
VALORIZZARE LE FUNZIONI DEL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA di Michele Del Prete e Francesca Romana Amarelli
Il dibattito proposto dalla Camera penale di Napoli riguarda il tema dell’attuazione del principio costituzionale fissato dall’art.27 co.3: “Le pene…devono tendere alla rieducazione del condannato”. In attuazione di questo precetto l’ordinamento penitenziario introdotto con la legge 354 del 1975 ha statuito, significativamente proprio all’art. 1, che “il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona”, precisando che “nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi”.
Molteplici oggi sono le implicazioni in sede di esecuzione delle pene, sia di carattere tecnico-giuridico che sociale, con non trascurabili ripercussioni su vicende umane, personali e familiari.
Può dirsi ormai pienamente affermato il principio di flessibilità della pena, e quindi la possibilità di espiazione non solo in ambito intramurario – dove gli obiettivi costituzionalmente rilevanti sono perseguiti mediante le attività ricreative, di lavoro e di studio o con l’eventuale sperimentazione della condotta all’esterno attraverso l’esperienza dei premessi premiali o del lavoro fuori dalla struttura carceraria ex art.21 l. 354/75 – ma anche all’esterno con l’esperienza delle misure alternative, con una valorizzazione immediatamente percepibile del profilo del reinserimento sociale del condannato ex art.27 della Costituzione, senza pregiudizio per l’effettività della pena.
Con particolare riguardo all’esecuzione in regime detentivo ordinario, oggetto della presente pubblicazione, appare opportuno evidenziare preliminarmente la complessità organizzativa degli Istituti presenti nel nostro territorio: si registra infatti, di giorno in giorno, un progressivo aumento del numero di ristretti, con una presenza media giornaliera spesso, purtroppo, di entità sensibilmente superiore, a mio avviso, alla capienza ottimale delle strutture ovvero alla disponibilità di personale in servizio effettivo.
I dati numerici forniti dall’Amministrazione Penitenziaria, congiunti alla valutazione della qualità di non pochi detenuti inseriti nel circuito di alta sicurezza ed alla presenza di numerosi stranieri e tossicodipendenti, permettono già di individuare obiettive difficoltà di gestione e controllo dell’attuale complessiva situazione organizzativa e trattamentale dei carceri in termini di sicurezza interna delle strutture, di tutela della salute dei detenuti, di garanzia di adeguato trattamento degli stessi e di offerta di opportunità rieducative, culturali e ricreative (di lavoro, studio, formazione professionale, etc.).
La stessa legge penitenziaria invero prevede, ex art.80, la possibilità di avvalersi anche dell’impegno di “professionisti esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica” per lo svolgimento di attività di osservazione e trattamento in ambito penitenziario, per la valutazione della personalità del reo e per la formulazione quindi di un parere qualificato per la progressione trattamentale interna, oltre che in vista dell’eventuale accesso all’esecuzione penale esterna secondo le modalità determinate dall’Autorità Giudiziaria. Tuttavia non sempre si riesce ad assicurare – dati i grandi numeri – l’individualizzazione del trattamento (intra ed extra-murario) ex artt. 1- 13 l.p., “in rapporto alle specifiche condizioni” ed “ai particolari bisogni della personalità di ciascun soggetto”, nel rispetto naturalmente dei principi di “assoluta imparzialità” e di “parità di condizioni di vita” dei condannati (cfr. artt.1-3 l.p.).
Le opportunità trattamentali appaiono ancora insufficienti a soddisfare pienamente le istanze dei ristretti, troppo numerosi, in conformità con i principi della Carta Costituzionale e con le previsioni della legge penitenziaria: la partecipazione dei detenuti alle attività interne avviene di regola secondo rotazione, per turni inevitabilmente di breve durata, per assicurare possibilmente l’avvicendamento almeno di tutti coloro che ne abbiano fatto espressa richiesta. Ed anche l’istituzione di nuove strutture o di nuove sezioni (sezione femminile, cd. reparto verde per i tossicodipendenti….), destinata chiaramente alla soluzione del grave problema preliminare del sovraffollamento di alcune carceri, non è da sola idonea a perseguire tali ulteriori obiettivi, se non è accompagnata dalla predisposizione di risorse umane, materiali e finanziarie, e di adeguate attività; in questi casi pertanto, superata una naturale “fase di organizzazione” dei nuovi complessi penitenziari, appare necessario che l’Amministrazione provveda alla programmazione di adeguate iniziative ricreative (previa integrazione, ove necessario, del ruolo degli educatori e previa dotazione dei mezzi finanziari del caso), di corsi scolastici e professionali e di opportunità di lavoro interno o alla predisposizione dell’area verde per i colloqui, ove vi siano detenuti che ne possano beneficiare.
Le carenze sono riscontrabili poi nel ruolo degli educatori: a fronte delle indicazioni contenute in pianta organica (non sempre adeguate alle nuove e crescenti esigenze della popolazione carceraria), alcuni Istituti devono sopportare carenze “di fatto”, dovute alla presenza in servizio effettivo soltanto di alcuni operatori di questa qualifica, assorbiti anche dalla partecipazione ai Consigli di disciplina. E’ di tutta evidenza che i penitenziari non possono assolutamente soddisfare le esigenze della popolazione ivi ristretta contando su una presenza minima di esponenti di un ruolo professionale di rilevanza centrale nelle attività di osservazione e trattamento, da svolgere in primo luogo nei confronti dei detenuti definitivi.
Non va poi trascurato che alcuni Istituti del distretto (per esempio, secondo la mia esperienza, la casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere e la casa di reclusione di Carinola), forse anche per la particolare realtà del territorio nel quale sono ubicati, non beneficiano di una significativa partecipazione all’opera rieducativa da parte della comunità esterna (privati, istituzioni o associazioni), soprattutto allo scopo di “promuovere lo sviluppo dei contatti tra la comunità carceraria e la società libera” ex artt. 17 L.354/75, 68 DPR 230/2000.
La necessità di offrire ai detenuti adeguate opportunità è funzionale non solo allo scopo di garantire la continuità con l’impegno espresso dagli stessi in altre sedi penitenziarie (più “attive” sul piano dell’impegno rieducativo), ma anche per una progressione del trattamento intramurario, in considerazione del fatto che taluni di essi, in ragione della natura giuridica “ostativa” dei reati in espiazione, non possono assolutamente accedere ai benefici previsti dalla legge penitenziaria per la sperimentazione della condotta in ambiente esterno.
Inoltre anche la valutazione dell’adesione alle proposte rieducative da parte del magistrato di sorveglianza in vista dell’accesso ai benefici esterni rischia di essere frustrata o comunque di rimanere limitata al formale riscontro dell’assenza di rilievi disciplinari: la difficoltà di raccogliere i risultati dell’osservazione e della sperimentazione in ambito penitenziario talvolta inibisce la progressione trattamentale esterna, in danno soprattutto di coloro che, talvolta ancora molto giovani, vivono la prima esperienza detentiva.
Con riferimento al ruolo della magistratura in questo percorso teso alla realizzazione dei principi costituzionali, vi è l’esigenza di una valorizzazione della funzione del magistrato di sorveglianza preposto alla vigilanza sull’Istituto penitenziario e sull’attuazione del trattamento rieducativo di ciascun condannato, in conformità con le indicazioni dell’ordinamento penitenziario e con le linee tracciate anche nella circolare CSM del 21.12.2001 all’art. 53 bis.
Appare di tutta evidenza l’importanza dell’espletamento delle funzioni di vigilanza ( artt. 69 co. 1 L. 354/75, 5 D.P.R. 230/2000) del magistrato di sorveglianza sul penitenziario nel suo complesso e sul trattamento dei detenuti per la verifica dell’attuazione del piano rieducativo; quest’ultimo invero, pur essendo chiaramente individualizzato, si inquadra nelle linee programmatiche trattamentali di carattere generale e può sfociare talvolta in iniziative di carattere collettivo (soprattutto nel settore teatrale) .
Il contatto con la realtà e la vita del carcere forma il patrimonio conoscitivo del magistrato, responsabile dell’approvazione dei programmi di trattamento, previa verifica dell’insussistenza di violazioni dei diritti del condannato o dell’internato: una valutazione questa che è senz’altro legata alla posizione giuridica del singolo condannato, ma non può prescindere dalla visione della situazione organizzativa e trattamentale dell’istituto nel suo complesso.
La conoscenza del particolare, relativa cioè al singolo condannato, va integrata del necessario supporto che proviene dalla visione d’insieme e dalla conoscenza generale anche per l’esercizio del potere del magistrato di sorveglianza di prospettare al Ministro della Giustizia, in relazione all’attività di vigilanza sull’organizzazione degli istituti, le esigenze dei vari servizi in ambito penitenziario, “con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo (art. 69 l. 354/75).
E’ stato detto che “Dietro il delitto c’è un passato, ma davanti al delitto c’è un avvenire ed in questo avvenire vive ed opera un uomo che spesso, dopo qualche tempo, è completamente diverso da quello che ha commesso il delitto”. E se non sempre, invero, si riescono a raggiungere questi risultati, la probabilità di successo è sufficiente a giustificare il massimo impegno in tal senso.
L’investimento di risorse nel trattamento, del resto, una volta perseguito il risultato della rieducazione del singolo, produce ulteriori favorevoli effetti: la riduzione del rischio di recidiva, di riflesso, permette il contenimento del fenomeno criminale assicurando un livello di sicurezza sociale più elevato.
UN’OCCASIONE MANCATA di Francesco Piccirillo
Nella simbologia collettiva il carcere rappresenta la collocazione spaziale di qualcosa che è a metà tra l’espiazione e la sofferenza, spesso secondo un’accezione non troppo chiara dei termini; si tratta di concetti che non piace analizzare, non invogliano alla riflessione. E’ più facile, ed aiuta a vivere meglio, collocare i concetti di espiazione e sofferenza “da carcere” tra le cose che “capitano solo agli altri”; un qualcosa rispetto al quale non può capitare di confrontarsi nel cammino verso la cura dei propri interessi; perché chiuso in un muro sufficientemente spesso rispetto al resto della collettività. In questa filosofia s’inquadra quel fenomeno proprio dei nostri tempi (che in verità non saprei valutare sul piano etico), per il quale uomini un tempo detentori di prestigio e potere, accortisi del carcere per disgrazia personale, diventano, come d’incanto, attivi volontari dell’assistenza sociale ed irriducibili avversari dell’istituzione carcere, in quanto improntato a criteri disumani. Rappresentano oggi risorse preziose per la causa della umanizzazione della pena, ma implicitamente confessano che nella loro qualità di “potenti” di ieri non sapevano e, dunque, non volevano sapere delle condizioni di vita all’interno del carcere. Esattamente come i “potenti” di oggi. Quelli che oggi “possono”, ma non fanno. Bisogna dirlo e ripeterlo tutte le volte che ne capita l’occasione: l’idea dell’uomo in detenzione da fastidio, e per evidenti ragioni: Affrontare il problema con onestà implica interrogarsi sul grado di responsabilità concorrente di noi tutti nel delitto “appioppato” solo al condannato; e trarne le conseguenze.
Si sa che il delitto ha radici più lontane di quelle prese in esame dal diritto penale, deputato alla punizione; ed anche se il concetto non compare mai nella letteratura di Stato (quella che si scrive con potere d’imperio), il delitto nasce si da pulsioni criminoimpellenti di natura endogena, ma anche, ed in maniera preponderante, da fattori esogeni, da stimoli esterni all’individuo; da stimoli direttamente ricollegabili alla società ed alle sue istituzioni, come la famiglia, la scuola, l’organizzazione del lavoro e del suo accesso, l’edilizia e, per finire, all’organizzazione del carcere con la sua pretesa rieducativa senza risorse, senza sacrifici per la società esterna. Dunque affrontare con serietà il problema carcere, significa riconoscere una responsabilità Politica nel delitto quantomeno in termini di percentuale; significherebbe trovare il coraggio di redistribuire la sanzione secondo criterio di colpevolezza reale, con conseguente dimensionamento della pena. Non solo, ma riconoscere le proprie responsabilità significherebbe per lo Stato sforzarsi di avere la coerenza di non cadere nella recidiva, facendosi carico di rimuovere le cause del delitto riferibili alle istituzioni sociali.
Ma un meccanismo istituzionale veramente teso alla prevenzione criminale ed al recupero deve necessariamente contare su programmi a lungo (o lunghissimo) termine. Tutto ciò implica stornare congrue risorse in un’operazione politica dai risultati troppo lontani nel tempo per essere tradotta anche in termini di consenso elettorale. Anzi, il rischio è quasi certezza che a contare i numeri di un successo, direi, dell’umanità, ovvero a beneficiare del risultato elettorale sarà una generazione politica diversa da quella che dovrebbe, disinteressatamente, impiegare oggi le proprie energie.
Il concetto di risocializzazione, che almeno a livello teorico rappresenta un passo avanti nell’istituzione carcere, è difficile da cogliere; è percepibile solo dagli addetti ai lavori (e pochi altri), secondo la loro distribuzione lungo il percorso giuridico che conduce al chiuso di una cella. Troppo radicati sono nella collettività i luoghi comuni a guardia dell’idea che solo il bambino si può (ri)educare. E non vi è impresa più ardua a spiegare a chi non ha interesse a capire.
Ancora troppo lontana è l’idea di una giustizia di tipo “distributivo” come compare nella carta costituzionale, poiché la nostra società è caratterizzata da una tipologia di giustizia troppo legata al potere di farla valere. Di guisa che più forte è la capacità di pressione di una categoria sociale sulle istituzioni e più è garantita la tutela dei diritti della categoria medesima. E il caso ha voluto che la categoria dei detenuti, senza dubbio punto di imputazione di una serie innumerevole di diritti, sia per fonte nazionale che internazionale, rappresenta l’unica categoria, in questa società pluralistica e di libertà di espressione, a subire l’imposizione del silenzio, poiché fatta di colpevoli. Non è retorica. A cominciare dalla difficile relazione del detenuto con l’agente di polizia penitenziaria; si sa che quando il rapporto degenera nel contrasto, a volte aspro e con conseguenze giuridiche, il confronto in sede di tutela si pone tra la parola del detenuto ed il processo verbale dell’agente, che fa fede fino a querela di falso. Vero è che rileva molto anche la difficile condizione di lavoro della stessa polizia penitenziaria, che ostacola fortemente l’instaurazione di una corretta relazione con il recluso; anch’essa vittima, per molti versi, di una struttura organizzativa esposta, sia pure con diverso grado, all’indifferenza collettiva di tipo molto simile a quella riservata ai detenuti. Perlopiù priva di una formazione professionale adeguata al delicato compito.
Inutile provare a risalire il percorso lungo la farragine di responsabilità e competenze all’interno della struttura penitenziaria, alla ricerca del ganglo responsabile dell’attività rieducativa infruttuosa a livello periferico, a livello dei singoli istituti penitenziari. E’ una risalita attraverso una piramide di organi gerarchicamente sovraordinati con appena le risorse per sopravivere, almeno fino al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria dislocato presso il Ministero della Giustizia. Qui le responsabilità si vedono, ma non si possono denunziare politicamente, perché appartengono sempre ad un Ministro precedente.
Tuttavia farei grave torto ai funzionari dell’amministrazione penitenziaria (almeno in Campania, dove ho consumato la mia esperienza con i problemi penitenziari) se non dessi atto di presenze umane di notevole responsabilità ed impegno nell’ambito delle proprie competenze, tirate avanti anche con sacrificio personale, perché evidentemente fiduciosi nella funzione rieducativa del carcere. Vale a dire che ci sono i presupposti per cambiare rotta. Ed è questa la ragione principale per cui ho aderito all’invito lusinghiero della Camera Penale di Napoli di stendere questo intervento. Perché ne ho condiviso il titolo “Carcere possibile”. Perché in Campania, come dicevo, sono presenti notevoli risorse umane per rendere appunto umano, rieducativo, “Possibile” l’istituzione carceraria funzionale ai valori costituzionali.
Convinto dell’inutilità di un’analisi dei problemi e tentativi di soluzioni secondo un percorso, come detto prima, che prendesse avvio dalla “periferia”, poiché destinati al nulla di fatto dai “rinvii” di responsabilità e poteri all’organo immediatamente e gerarchicamente sovraordinato, chi scrive ha tentato l’itinerario inverso: partire dalla cima della piramide per giungere alla sensibilizzazione delle istituzioni locali rispetto ai problemi del trattamento penitenziario e, più in generale, della prevenzione criminale in Campania.
Nell’anno 1999 stilavo un documento di tre cartelle, che intitolavo “Dichiarazione
d’intenti del Ministro di Grazia e Giustizia e del Presidente della Regione Campania sui problemi penitenziari e della devianza in Campania”. Il documento era funzionale alla stesura di un vero e proprio protocollo d’intesa allo scopo di coinvolgere gli Enti locali nell’azione volta ad affrontare tale tipo di problemi in coordinamento con gli organi periferici del Ministero della Giustizia. Il momento era politicamente buono, e trovai subito il consenso dei vertici istituzionali. Lo spunto partiva dal decentramento in atto in favore degli enti locali di una serie di competenze già proprie dei singoli ministeri, che avrebbe comportato, peraltro, il passaggio di una serie di competenze dal ministero della Giustizia agli enti locali con riferimento alla popolazione detenuta. E dunque una collaborazione Ministero Giustizia - Enti locali, in una certa misura “necessitata”( si considerino i decreti delegati in materia di sanità).
Ma era, se si vuole, un pretesto. Lo scopo, anche dichiarato, era quello di riservare una serie di risorse umane e finanziarie, con sempre più imponenza devolute alle regioni, ai problemi penitenziari in sede locale. Vi era inoltre, a parere di chi scrive, l’esigenza di distribuire e specificare gli interventi di rilievo trattamentale e di prevenzione secondo le esigenze legate al territorio, in particolare al territorio campano. La mia attività di avvocato penalista, con esperienze anche in altre regioni dell’Italia, mi aveva convinto della necessità di valorizzare il dato territoriale per un’efficace azione “trattamentale”.
La “Dichiarazione” contemplava l’impegno del Ministero e della Regione ad organizzare interventi congiunti, con congiunto apporto di energie normative, umane e finanziarie nel settore in argomento, che nel documento furono indicati in sette direzioni fondamentali.
Il 12 Novembre del 1999 l’allora Ministro della Giustizia Oliviero Diliberto ed il presidente della Regione campania Andrea Losco firmarono a Capri la “Dichiarazione d’intenti”.
In tempi relativamente stretti il Ministro ed il Presidente della regione, con autonomi decreti, in attuazione della “Dichiarazione”, designarono chi scrive presidente di una commissione paritetica con il compito di analizzare la situazione penitenziaria in Campania. I componenti della commissione da me presieduta vantavano (e vantano) massima esperienza nel settore in Campania; parlo del dott. Salvatore Acerra, direttore della casa Circondariale di Poggioreale; il dott. Alessandro Forlani, Direttore del centro di Giustizia Minorile per la Campania e Molise; il Dott. Umberto Raccioppoli, direttore dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Napoli; il dott. Giustino Santoro, funzionario alla formazione professionale della Regione Campania; la dott.ssa Angela Ruggiero, funzionario di azienda sanitaria. Nonché i compianti dott.ssa Carmen Rosa, direttore del centro di servizio sociale di Salerno ed il criminologo di chiara fama prof. Franco Sclafani, direttore del dipartimento scienze penalistiche, criminologiche e penitenziarie dell’Università di Napoli, non più tra noi.
I lavori procedettero a ritmo serrato. Nel Novembre 2000 il documento fu interamente steso; s’intitolava “Protocollo d’intesa tra la Regione Campania e Il Ministro della Giustizia”. Gli impegni delle due istituzioni furono consacrate in sedici cartelle. In esso si regolarono interventi congiunti in materia di trattamento penitenziario, volti essenzialmente all’attuazione concreta della normativa in materia. Si regolarono le problematiche legate alle comunità per i minori; fu redatto un progetto per Nisida dove si prevedeva un centro studi sui minori su scala europea; si affrontò il problema dell’assistenza sanitaria e della salute in carcere; s’individurono meccanismi di recupero per tossicodipendenti e alcooldipendenti; furono previsti criteri per ottimizzare il rapporto qualitativo e quantitativo tra tossico ed alcool dipendenti e le comunità terapeutiche; si esaminarono le esigenze di salute sui luoghi di lavoro all’interno degli istituti penitenziari; si insistette sulla territorializzazione della pena; ci si preoccupò della tutela dello straniero in area penale; s’individuarono le ragioni di disagio della polizia penitenziaria e conseguenti criteri per rimuoverli; si regolò un piano d’intervento in materia di esecuzione penale all’esterno allo scopo di dare attuazione alla Raccomandazione del consiglio d’Europa n. R(92) del 19 Ottobre 1992; fu previsto l’impegno a raccordare l’opera del volontariato con l’azione delle istituzioni pubbliche; si insistette sulla formazione e aggiornamento degli operatori penitenziari e formazione professionale dei detenuti; furono consacrati impegni a favore delle vittime del reato. Il documento chiudeva con il capitolo “Disposizioni operative”.
Il Protocollo fu firmato in data 3 Ottobre 2000 dal Ministro Piero Fassino e dal Presidente della Regione Campania Antonio Bassolino.
Le disposizioni operative del Protocollo, in linea con gli indirizzi della commissione nazionale consultiva e di coordinamento per i rapporti con le regioni, prevedevano il naturale scioglimento della commissione da me presieduta e la costituzione di una nuova commissione, questa volta regionale, con il compito di dare esecuzione alle disposizioni del Protocollo stesso.
La commissione fu istituita, ma è tutto quello che si è riusciti a fare! Se non la riunione d’insediamento della stessa. Da quello che mi risulta il Presidente della commissione non l’ha mai più convocata.
Dunque, nel nulla di fatto si sono risolti gli impegni precisi assunti e sottoscritti dalle parti stipulanti, che pure avevano espresso largo apprezzamento sul lavoro della commissione da me presieduta.
Diversamente accade invece in altre regioni d’Italia, dove simili protocolli, pur nelle difficoltà di ordine pratico, vantano una commissione impegnata e decisa a darne attuazione. Cito come esempio la regione Lombardia.
Ho intitolato questo intervento “Occasione mancata”, ma solo per dargli una veste provocatoria, perché in realtà l’occasione è ancora attuale, anche se si è perso e si perde tempo prezioso. Il Protocollo è ancora lì, valido ed efficace; le firme sono autentiche; ed è grave la responsabilità dell’istituzione che risponde con l’indifferenza, solo perché il documento considera i diritti di chi non ha la forza di farli valere e la voce per reclamarli. Altri protocolli hanno considerato altre categorie, hanno incontrato altri sostenitori, altri interessi, altre fortune.
CARTE BLANCHE. LA COMPAGNIA DELLA FORTEZZA di Armando Punzo
La ricerca del senso del teatro e di un nuovo linguaggio non può che iniziare quando ci si avventura concretamente in territori umani, culturali ed emotivi a noi ancora sconosciuti, lasciandosi alle spalle ciò che già ci è noto.
E’ attraverso una sorta di isolamento di se stessi che è forse possibile far emergere un nuovo senso del teatro. Il teatro in carcere è ancora un’utopia un desiderio una necessità per ricercare se stessi e una propria identità culturale e personale.
La ricerca consiste nell’eliminare il superfluo, per riscoprire ogni volta, ogni giorno, la funzione originaria del teatro, scoprendo un linguaggio nuovo, che si nutre di fatti concreti della vita.
Anche le difficoltà, le resistenze, i pregiudizi possono portare ad ampliare l’obbiettivo dalla ricerca puramente formale, per arrivare all’individuo, all’uomo e alle sue motivazioni, all’incontro con l’altro.
Il carcere è un’isola dentro le nostre, un’isola dimenticata che non si vuole conoscere,retta da regole che non contemplano l’esistenza di un teatro e tanto meno lo scambio culturale ed umano. A Volterra il “nostro teatro” è una cella, di tre metri per nove. Ma il nostro problema, il nostro obbiettivo non è rendere più umane le carceri, ma mettere alla prova il teatro in queste condizioni.
Per noi, paradossalmente, il carcere può diventare il luogo dove reinventare il teatro e restituirgli la sua necessità. Quando siamo entrati in carcere per la prima volta dieci anni fa, pareva impossibile far nascere un teatro dentro quelle mura. L’impossibilità in un carcere si manifesta concretamente nella sua struttura, nella sua funzione, nelle leggi scritte che lo regolano e in quelle non dette che lo abitano. E quell’impossibilità non era solo un’idea, era anche una sensazione fisica che si manifestava in noi stessi e in chi guardava dall’esterno: si stava forzando un limite culturale che era negli altri, ma anche in noi stessi.
Impossibile come scelta, come utopia, come necessità, ma anche come stato o condizione. L’impossibile come attitudine della mente e del corpo attraverso cui spingersi alla ricerca di una propria espressione .
Da sensazioni fisiche ed emotive hanno via via preso corpo le prime suggestioni che ci hanno portato a far nascere il progetto I teatri dell’Impossibile che viene proposto da anni al festival Volterrateatro.
Il progetto di Laboratorio Teatrale nel Carcere di Volterra nasce nell’agosto del 1988, a cura di Carte Blanche sotto la direzione di Armando Punzo, con il contributo della Regione Toscana, della Provincia di Pisa, del Comune di Volterra, dell’ USL 5 Volterra .
In 15 anni di lavoro la Compagnia della Fortezza composta dai detenuti-attori del carcere di Volterra ha prodotto circa ogni anno uno spettacolo nuovo. A partire dal 1993 gli spettacoli della Compagnia della Fortezza sono stati rappresentati fuori dal carcere e sono stati invitati nei principali teatri e festival italiani, numerosi inviti sono giunti anche dai maggiori festival internazionali .
Nel 1994 è stato costituito il primo Centro Teatro e Carcere basato su un accordo di programma tra Regione Toscana, Provincia di Pisa e Comune di Volterra. Nel 1998 il dipartimento dello Spettacolo presso la presidenza del Consiglio dei Ministri e l’Ente Teatrale Italiano sono intervenuti con un contributo a sostegno del progetto di laboratorio teatrale all’interno del carcere.
Dal dicembre 1996 Carte Blanche gestisce il Teatro San Pietro di Volterra. Dal 1997 Carte Blanche ha ottenuto la direzione artistica, organizzativa del Festival Volterrateatro nel quale ha proposto per 5 anni consecutivi il progetto I Teatri dell’Impossibile.
Nel 2000 è stato firmato un protocollo d’intesa per l’istituzione del ” Centro Nazionale Teatro e Carcere” dal Ministero della Giustizia dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, la Regione Toscana, la Provincia di Pisa, il Comune di Volterra e l’Ente Teatrale Italiano.Al fine di perseguire, sviluppare e potenziare l’esperienza sinora maturata, gli organismi firmatari del protocollo d’intesa intendono attuare i seguenti obiettivi:
Nel 2001 il Ministero dello Spettacolo ha riconosciuto a Carte Blanche il Progetto Speciale per il lavoro della Compagnia della Fortezza.
CENTRO NAZIONALE TEATRO E CARCERE
Il 21 Luglio 2000 è stato firmato un protocollo d’intesa per l’istituzione del ” Centro Nazionale Teatro e Carcere” dal Ministero della Giustizia dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, la Regione Toscana, la Provincia di Pisa, il Comune di Volterra e l’Ente Teatrale Italiano.Al fine di perseguire, sviluppare e potenziare l’esperienza sinora maturata, gli organismi firmatari del protocollo d’intesa intendono attuare i seguenti obiettivi:
· Riconoscimento alla Compagnia della Fortezza del ruolo di esperienza pilota nell’ambito del sistema penitenziario per i risultati raggiunti sia sul piano della funzione trattamentale che sul piano dell’espressione artistica.
· Produzione di spettacoli della Compagnia della Fortezza.
· Riconoscimento dell’attività teatrale della dignità di lavoro.
· Rappresentazioni degli spettacoli della Compagnia della Fortezza all’interno dell’Istituto di Volterra, aperti alla comunità esterna per favorire l’integrazione e la conoscenza delle problematiche poste della detenzione.
· Previsione di tournèe degli spettacoli della Compagnia secondo modalità previste dall’Ordinamento Penitenziario.
· Produzione di attività culturali: incontri, convegni, rassegne, mostre, pubblicazioni.
· Collaborazioni con le Università e le scuole.
· Confronto con altre significative esperienze artistiche.
· Gemellaggi con analoghe realtà straniere attraverso lo scambio di esperienze e di informazioni su “Teatro e Carcere” e ricerca di finanziamenti europei per la realizzazione di progetti comuni.
· Promozione e sostegno di spettacoli teatrali negli Istituti della Regione Toscana e del territorio nazionale.
· Istituzione dell’Osservatorio Nazionale ed Europeo in collaborazione tra il Ministero dello Spettacolo Ente Teatrale Italiano.
· Costituzione di un Comitato Scientifico per l’analisi e la valutazione delle produzioni artistiche e culturali al fine della loro valorizzazione e diffusione.
Attività di formazione congiunta tra gli operatori penitenziari ed i collaboratori esterni a livello nazionale e regionale al fine della migliore attuazione del progetto.
Attività di formazione teatrale e tecnica dei detenuti-attori.
Attività di sensibilità e promozione di opportunità lavorativa per i detenuti-attori nell’ambito della Compagnia della Fortezza e nel programma teatrale italiano.
Produzione di atti.
PARTE SECONDA
UNO SGUARDO AGLI ISTITUTI DELLA CAMPANIA
Abbiamo richiesto una serie d’informazioni relative agli Istituti Penitenziari della Campania . La richiesta è stata avanzata al Provveditorato della Campania, che l’ha inoltrata agli Istituti. La consegna dei dati è stata poi autorizzata dalla sede centrale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.
Hanno risposto ai quesiti, nel termine indicato, la Casa Circondariale di Napoli- Poggioreale, di Napoli – Secondigliano, di Pozzuoli, di Carinola, di Eboli, di Arienzo, di Lauro, di Sala Consilina e l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Napoli.
Non hanno risposto, o comunque le notizie non sono a noi giunte nel termine stabilito finalizzato alla elaborazione dei dati, l’Istituto di Avellino-Bellizzi, di Benevento, di Salerno, di S.Maria Capua Vetere, di Vallo della Lucania, l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa.
I dati coprono più della metà delle strutture e, pertanto, il quadro d’insieme può considerarsi abbastanza completo. Va detto che alcune risposte sono sembrate, a chi ha esperienza in merito, politicamente corrette. Nonostante tutto riteniamo che, dall’analisi incrociata delle informazioni, emerge una lettura complessiva abbastanza obiettiva e comunque senz’altro utile.
1. REGOLAMENTO INTERNO
Non vi è negli Istituti un Regolamento Interno, pur previsto esplicitamente dall’Ordinamento Penitenziario, che certo non è norma recente.
L’unico Istituto che ha risposto alla nostra richiesta sul punto è quello di Napoli – Poggioreale nel quale il Regolamento è in fase di “avanzata stesura” . Abbiamo poi visto il Regolamento preparato dalla Casa Circondariale di Pozzuoli, che, però, non è ancora ufficiale.
Al detenuto che chieda, al momento del suo ingresso, quali siano le regole di comportamento, quali i suoi doveri, ma anche quali diritti egli ha all’interno dell’organizzazione dell’Istituto, non è possibile fornire alcun documento scritto se non il D.P.R. 30 giugno 2000, N.230 , Regolamento relativo alla L.26 luglio 1975, N.354, che prevede le norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà.
E’ evidente che il Regolamento di carattere generale non può trovare concreta applicazione in ogni singolo Istituto, dove lo stesso va rimodellato a seconda delle esigenze strutturali e del numero dei detenuti.
E’ questa, riteniamo, una gravissima omissione che deve essere immediatamente sanata., anche per garantire quella trasparenza che, proprio nel carcere, è più che necessaria.
La Stato punisce l’individuo che non ha rispettato la Legge, togliendogli la libertà . Questi viene rinchiuso, ma nel luogo di detenzione, non trova una Legge certa da rispettare e far rispettare. Si è così costretti, spesso, ad adeguarsi a comportamenti che possano garantire una detenzione “tranquilla” .
2. CAPIENZA DELL’ISTITUTO, UNITA’ DETENUTE. DESCRIZIONE DELLA STRUTTURA
Napoli- Poggioreale:
Alla data della comunicazione, inviataci il 25 maggio 2003, i detenuti erano circa 2.300, a fronte di una capienza ottimale di 1.359. In proposito rileviamo che la relazione per l’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2003, indicava una capienza massima, per Poggioreale, di 1276 unità. Negli ultimi tre anni, i detenuti, sono stati tra i 2.100 e i 2.500 , con punte di un sovraffollamento pari al doppio del sopportabile. La maggior parte dei detenuti, più dei due terzi, sono in attesa di giudizio, cioè non sono stati condannati con sentenza passata in giudicato. Gli stranieri sono circa 200 (meno del 10%), prevalentemente tunisini, marocchini ed algerini.
Vi sono 13 padiglioni, circa 500 celle. Vi sono anche stanze con due posti letto, ma la maggior parte sono con un numero ben più elevato e si arriva anche a celle con 16 detenuti, con un unico servizio igienico. Le docce sono in comune nel padiglione ed il loro uso è ridotto per l’elevato numero di presenze. Il servizio igienico è nelle celle.
Sono necessari urgenti interventi strutturali e di manutenzione – ad es. al padiglione Avellino – ma non si riesce ad intervenire perché non c’è possibilità di spostare i detenuti.
Vi è un reparto per i tossicodipendenti, tre ad alta sicurezza, un reparto per il centro diagnostico terapeutico, un reparto per i lavoranti, un reparto per i primari. Vanno in sezioni apposite e diverse anche omosessuali, transessuali e responsabili di reati sessuali. Negli altri reparti vanno i detenuti comuni. Vi è 1 ambulatorio ogni padiglione, 1 pronto soccorso, un centro diagnostico terapeutico con 2 sale operatorie, 1 laboratorio di analisi, un centro fisiochinesi, laboratori di radiologia ed odontoiatria, una cucina sani ed una cucina per coloro che necessitano di un’alimentazione particolare, un SERT per l’assistenza ai tossicodipendenti con personale sanitario, psicologi, infermieri. Vi sono,inoltre, due chiese, una utilizzata anche per spettacoli teatrali, una sala yoga.
Nel reparto scuola funziona una sala computer, c’è una videoteca e sala proiezioni, anche con dvd. Per la formazione professionale c’è una falegnameria, una sartoria, una tipografia, un’officina fabbri.
Funziona una biblioteca centrale con oltre 2000 volumi, più una biblioteca per ogni reparto, con esclusione dei padiglioni Venezia ed Avellino e del centro clinico.
Napoli- Secondigliano
La capienza ottimale è di 900 detenuti, mentre quella tollerabile è di 1.326. Vi sono stati, in media, nel 2001, 1282 presenze, nel 2002, 1171 e nel 2003 si è arrivati a 1267. La maggior parte sono in esecuzione di reclusione, mentre circa il 25% in custodia cautelare.
Il totale delle celle è di 568. Le dimensioni delle camere che ospitano i detenuti sono: lunghezza: mt.4,43; larghezza mt.2,85, per un totale di mq. 12.63. In media tre detenuti per ciascuna cella . Non sono stati riferiti dati relativi ad un numero più alto. Per i detenuti in semi-libertà sono previsti 6 posti letto per ogni camera.
Ogni camera è dotata di annesso bagno munito di porta e dotato di lavabo, lavapiedi e bidet. L’acqua è potabile. L’acqua calda c’è nel locale adibito alle docce, che sono tre per ogni sezione e vengono usate in giorni stabiliti.
I reparti sono 9, più 1 reparto per i semi-liberi. Le sezioni sono così suddivise: alta sicurezza, 41 bis, collaboratori, promiscua, custodia attenuata, trattamentale. Le assegnazioni avvengono in base alla tipologia del reato, al fine pena, alle indicazioni che vengono dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e dal Provveditorato Regionale della Campania all’atto dell’assegnazione in Istituto.
Vi è un centro Diagnostico e Terapeutico, un’infermeria centrale dotata di un Pronto Soccorso. Ogni reparto è dotato di un ambulatorio con servizio infermieristico garantito per le 24 ore.
Vi è una mensa, ma solo al Reparto Verde, dove si applica la custodia attenuata per il recupero dei tossicodipendenti ed alcoldipendenti
Vi è una biblioteca centralizzata che si compone di circa 1300 testi. La direzione de “il Mattino” invia, quotidianamente, 1000 copie del giornale.
Vi è un campo sportivo regolamentare, una palestra centrale attrezzata ed una al reparto per detenuti tossico-dipendenti
Vi è una videoteca, una sala computer, uno spaccio, per l’acquisto di generi vari a proprie spese, un teatro, una sala proiezioni, locali per attività comuni, laboratori per attività lavorative ed artigianali (giardinaggio, arte presepiale, ecc.).
Napoli –Pozzuoli
La capienza media dell’Istituto è di N.84 detenute. Le presenze medie negli ultimi tre anni sono state: per l’anno 2001, 137 detenute + 3 semi-libere; per l’anno 2002, 150 detenute + 3 semi-libere; per l’anno 2003, 160 detenute + 4 semi-libere.
La struttura comprende un reparto detentivo a regime ordinario con un numero totale di 24 camere suddivise su tre piani. Presenta una varia tipologia di detenute: soggetti ristretti in attesa di primo giudizio, in custodia cautelare, in espiazione pena ed, ospitati in un’autonoma sezione, soggetti beneficiari del regime di semi-libertà
L’assegnazione delle detenute alle sezioni e quindi alle camere detentive avviene nel rispetto del criterio generale della separazione in base alla posizione giuridica (giudicabili e definitive) e di eventuali disposizioni particolari, inerenti alla categoria relativa alla pericolosità sociale del soggetto o alla eventuale appartenenza alla criminalità organizzata.
Le dimensioni delle camere detentive sono medio-grandi, le condizioni di luminosità sono soddisfacenti, i servizi igienici sono collocati in un vano annesso con acqua corrente calda e fredda, lavabi, bidet. Ogni camera è dotata di doccia.
L’assistenza sanitaria alle detenute è assicurata dalla presenza di una struttura medica che comprende un’infermeria e attrezzature sanitarie per le branche specialistiche in oculistica, odontoiatria, radiologia e per l’effettuazione di esami ecografici.
Vi è una biblioteca, con un’ampia scelta di libri.
Arienzo
La capienza regolamentare dell’Istituto è di 104 unità. La capienza media giornaliera dal 14 ottobre 2000 al 19 maggio 2003 è di circa 100 detenuti. La tipologia dei detenuti presenti è composta per la maggior parte di detenuti definitivi (circa il 90%), mentre pochi sono gli appellanti (circa il 10%), talvolta è presente qualche giudicabile fino al 1° grado. La popolazione detenuta può essere annoverata tra i c.d. comuni e non vi sono internati.
Vi sono 2 sezioni, 53 camere, 26 al piano terra e 27 al primo piano, due sale di socialità (una per sezione); una sala polivalente, ossia multiuso per celebrazioni religiose, spettacoli teatrali, riunioni sindacali, convegni e manifestazioni. Non esistono sezioni specifiche o speciali. Le due esistenti sono uguali ed ospitano la stessa tipologia di detenuti. Si favorisce la collocazione nella stessa cella dei giovani adulti (fino a 25 anni di età).
La dimensione delle camere è di circa 24 metri quadrati, comprensivi del vano bagno separato dalla zona abitata. Presenza di acqua calda e fredda, del bidet. Le docce sono in un vano separato per ciascuna sezione.
Esiste un’infermeria con varie attrezzature specialistiche di base.
Non è stata segnalata la presenza di una biblioteca, ma la media giornaliera di disponibilità pro capite di un libro ed uno o più periodici.
Carinola
La capienza è di N.306 detenuti. La presenza media di detenuti negli anni 2001, 2002 e 2003 è di N. 320 detenuti. Sono presenti detenuti in esecuzione reclusione ed in custodia cautelare. Non sono presenti semi-liberi.
L’Istituto è composto da N. 3 reparti con relative aree di passeggio. 251 camere di detenzione. Le camere singole hanno le dimensioni di circa 20m.cubi e sono dotate di servizi igienici con separazione. I cameroncini da quattro posti sono di circa 50m. cubi e sono dotati di servizi igienici in vano annesso, acqua corrente fredda e lavabi.
Vi è un’ infermeria centrale e 4 ambulatori di reparto. Una cucina per i detenuti ed una per il personale, con annessa mensa. Una biblioteca e 10 aule per attività scolastiche e formative. Un campo sportivo ad uso dei reclusi ed un complesso sportivo esterno all’intercinta ed interno alla colonia agricola utilizzato dal personale. Un teatro e sala proiezioni per i detenuti. 6 sale polivalenti dotate di attrezzature ginniche. Un bar –spaccio per il personale.
Per le attrezzature sanitarie l’istituto è dotato d’impianto di radiologia, riunito odontoiatrico, sala per interventi di chirurgia, ecografo, elettrocardiografo, strumentazione oculistica.
Vi sono attrezzature per l’istruzione scolastica e professionale, ricreativa e culturale: aula trrezzata con PC per corso d’informatica, aula attrezzata per corso cuochi, per corso di ceramica e per corso di pittura, aule attrezzate per corso di scuola d’istruzione secondaria di primo e secondo grado, televisori, videoregistratori, fotocopiatrici destinate all’attività scolastica.
Vi è una biblioteca con 2000 pubblicazioni. Sono disponibili quotidiani e periodici.
E’ in atto un progetto per una camera destinata ai colloqui con i figli minori di anni dieci, tinteggiata con colori vivaci e dipinti che richiamano l’infanzia.
Eboli
La capienza è di N.50 detenuti. La media di presenze nel 2001 è stata di 37 detenuti; nel 2002 di 6,; nel 2003 di 48. E’ un Istituto a Custodia Attenuata per detenuti tossicodipendenti, in esecuzione di reclusione. Non vi sono beneficiari del regime di semi-libertà.
I padiglioni sono 3, con tre camere ciascuno, per un totale di 9 camere, con varie dimensioni: Padiglione N.1 : una stanza di mq.27,33; una di mq.40; una di mq.36,8 . Padiglione N.2: una stanza di mq. 42,18; una di mq.3,82, una di mq.28,73. Padiglione N.3: una stanza di mq.39,95, una di mq.37,44, una di mq.47,88.
Servizi igienici collocati in un vano annesso alle camere con docce istallate una per ogni bagno.
Non vi è cucina. Vengono consegnati i generi crudi ai detenuti che provvedono a cucinare nell’ambito dei refettori previsti; uno per ogni sezione. Per ogni refettorio è individuato un lavoratore cuoco munito di regolare libretto sanitario. Non è consentito l’uso di fornelli nelle camere.
E’ attivo un laboratorio di falegnameria, un laboratorio orto florovivaista , un laboratorio di decorazione del vetro. Tutti forniti delle attrezzature necessarie per la realizzazione dei manufatti. Esistono spazi adeguati per la formazione scolastica e professionale, per le attività ricreative e sportive: palestre,, sala polivalente, biblioteca, sala redazione giornali di istituto.
La biblioteca è fornita di 713 volumi. Nell’emeroteca si possono leggere 3 quotidiani, una rivista settimanale ed una mensile.
Lauro
L’Istituto è una ex Casa Mandamentale. Nel 1963 è diventato Casa Circondariale. Dal 1996 funziona come Istituto a sicurezza attenuata per tossicodipendenti in esecuzione di reclusione. La capienza è di 54 unità. La media di presenze nel 2001 è stata di 39 detenuti, nel 2002 di 42, nel 2003 di 46.
Ha due sezioni di 13 e 14 camere, per un totale di 27 camere tutte a due posti. Le stanze misurano 16 mq., con servizi igienici. Nei WC vi è acqua corrente fredda, lavabo e lavatoio. I locali doccia, situati nelle sezioni, sono fruibili con budge personale, programmato per erogare 8 minuti di acqua calda al giorno e, per i lavoranti, 2 volte al giorno. Ciascuna sezione è dotata di sala socialità e di un piccolo locale per il biliardino.
Vi è una cucina, una biblioteca, un’aula scolastica, una sala computer, una videoteca, una sala teatro, 4 locali per attività in comune, un bar, uno spaccio agenti ed una mensa agenti.
Vi è un’infermeria, un laboratorio odontoiatrico di buon livello. Un laboratorio di primo intervento di buon livello.
L’Istituto è fornito di attrezzature adeguate per gli svariati corsi e attività organizzate.
La biblioteca è fornita di 1578 volumi. Tre abbonamenti a quotidiani e periodici.
Sala Consilina
La capienza dell’Istituto è di N.26 posti. La media di presenze nel 2001 è stata di 24 detenuti; nel 2002 di 26; nel 2003, di 22. Sono presenti detenuti in custodia cautelare, esecuzione reclusione ed in esecuzione di arresto. Allo stato sono presenti N.2 detenuti in semi-libertà.
Vi è un’unica sezione con 7 camere di varie dimensioni. In ogni camera è presente il servizio igienico (WC e lavabo) separato. Le docce sono in comune.
La biblioteca contiene 1458 volumi. I quotidiani ed i periodici sono a richiesta. Vi è una sala giochi.
Vi è un ambulatorio e la qualità e la tipologia delle attrezzature sanitarie sono di carattere ordinario.
Sono disponibili pannelli per i corsi didattici.
Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Napoli
La capienza ottimale dell’Istituto è di N. 150 unità. Quella massima tollerata può essere elevata a N.190 unità. La presenza media calcolata negli anni 2001,2002,2003 è di N.168 unità. Alla data del 27 maggio 2003 la tipologia degli internati e/o detenuti presenti è la seguente: N. 7 detenuti in custodia cautelare; N.44 ion esecuzione della pena; N.136 in esecuzione di M.S.D.. Non sono presenti persone che beneficiano di semi-libertà.
L’Istituto è formatola N.14 sezioni di cui 3 chiuse per ristrutturazione, per un totale di 72 stanze di degenza, ove sono ospitati gli internati. Le dimensioni delle camere vanno da un minimo di mq.8,70 ad un massimo di mq.46,00 (c.d. “cameroni), tutte con annessi servizi igienici, acqua corrente calda e fredda, lavabi e sale doccia collocate all’interno di ogni sezione detentiva.
Vi sono 4 sale mensa dove viene consumato il vitto; 1 cucina; 1 biblioteca; 1 spaccio; 1 teatro, adibito anche a sala proiezioni e videoteca; 1 palestra; 3 sale per attività in comune.
Gli ambulatori sono 6, con attrezzature sanitarie acquistate in epoche diverse. Pertanto affianco ad apparecchiature moderne vi sono apparecchiature vetuste, ma comunque efficienti.
Esiste una biblioteca contenente 1800 libri di testo di vario genere.
Dati relativi alla capienza per gli Istituti che non hanno fatto pervenire le informazioni
ARIANO IRPINO Cap. regol.: 164 Detenuti presenti al 31.12.02: 192
AVELLINO BELLIZZI 266 398
AVERSA (O.P.G.) 189 197
BENEVENTO 254 438
SALERNO 402 429
S.M.C.VETERE 527 867
3. TRATTAMENTO E RIEDUCAZIONE
Napoli – Poggioreale
Gli educatori sono dieci. Tenuto conto degli orari di lavoro vi è un rapporto di 1 educatore per 400 detenuti. Rapporto che azzera, di fatto, qualsiasi possibilità d’intervento. Stessa situazione, se non addirittura peggiore, è quella relativa agli psicologi, la maggior parte dei quali lavora circa 16 ore alla settimana, cioè 4 ore al giorno.
Il trattamento rieducativo individuale e/o comune è, in tale drammatica situazione, oggettivamente impossibile.
Per l’attività di recupero dei detenuti tossicodipendenti, è operativo un SERT.
Vi sono sette classi di scuola elementare, ma bisogna tener presente che la percentuale di analfabetismo si aggira intorno al 30%. Vi sono, cioè, circa 600 detenuti analfabeti. Vi sono due moduli di scuola media inferiore, per un totale di otto classi. Un corso d’inglese, un corso di alfabetizzazione per stranieri, un corso di educazione alla legalità, un laboratorio di arte etnica.
Per la formazione professionale, vi sono un corso di assemblatore hardware, un corso di operatore computer, un corso di elettricista.
Alcuni corsi culturali sono tenuti da organizzazioni di volontariato. Vengono favorite le conferenze e gli incontri con realtà esterne.
I programmi di trattamento vengono proposti al Magistrato di Sorveglianza e contengono gli elementi del trattamento previsti dall’ Ordinamento.
Vi sono detenuti autorizzati ad avere il PC nella camera. Vi sono TV a colori in tutte le stanze. Possibilità d’iscriversi a corsi vari.
Sono applicate le normative vigenti sulla libertà di professare la propria religione. Viene distribuito il calendario del Ramadan e svolgono la loro attività anche Ministri non di culto cattolico.
Napoli – Secondigliano
Nell’Istituto funzionano 2 classi elementari, due moduli di scuola media inferiore ed un intero corso dell’Istituto Tecnico Commerciale, per un totale complessivo dicirca 250 frequentanti.
Vi sono 4 corsi professionali gestiti dalla Regione Campania, per un totale di 40 partecipanti.
Tutti i detenuti conposizione giuridica definitiva vengono sottoposti all’osservazione scientifica della personalità e viene redatto il programma individualizzato di trattamento. Alla stesura di questo documento partecipano il Direttore del reparto, l’educatore, l’istettore di polizia penitenziaria, l’assistente sociale e lo psicologo.
Gli educatori sono nove. Gli assistenti sociali partecipano all’attività di osservazione e trattamento e s’interessano alle problematiche inerenti i rapporti con le famiglie. Gli assistenti volontari svolgono attività di catechesi, sostegno morale ed alcuni s’interessano di problemi di natura pensionistica e previdenziale.
I detenuti possono professare qualsiasi religione e l’Istituto è frequentato da due cappellani, dal pastore evangelico, dai testimoni di Geova.
Napoli – Pozzuoli
Le attività lavorative svolte dalle detenute sono di tipo domestico. Le attrezzature per le attività d’istruzione scolastica, professionale, ricreative e culturali prevedono un’aula didattica ed una sala teatro predisposta ad ospitare il laboratorio teatrale.
I corsi scolastici e di addestramento professionale sono: 1 corso di scuola elementare, 1 corso per l’educazione in età adulta per il conseguimento della licenza media e vari corsi di formazione professionale tenuti dalla Regione Campania.
Gli educatori sono 3. L’osservazione scientifica della personalità delle detenute, svolta nell’aria educativa, assicura la predisposizione di un programma di trattamento individualizzato da parte del gruppo di osservazione e trattamento, che periodicamente svolge riunioni di equipe all’interno dell’Istituto.
La partecipazione esterna all’azione rieducativi è assicurata da un congruo numero di assistenti volontari, che svolge un’azione di sostegno delle attività trattamentali, in particolare nel settore culturale e scolastico, in favore di quelle detenute che manifestano la volontà di un approfondimento dello studio di alcune materie scolastiche.
La sottoscrizione di una convenzione con la ASL NAPOLI 2 ha favorito la partecipazione da parte degli operatori del SERT territorialmente competente, all’attività di recupero delle detenute tossicodipendenti, con la realizzazione di programmi terapeutici specifici. In base a tale convenzione, perfezionata a seguito del Protocollo D’Intesa tra il Ministero della Giustizia e la Regione Campania del 3 ottobre 2000, accedono in Istituto altri tre Dipartimenti dell’ASL NAPOLI 2 : Dipartimento di salute Mentale, Dipartimento Materno ed Infantile e Dipartimento di Prevenzione.
La possibilità di utilizzo del PC da parte della popolazione detenuta viene concessa a richiesta.
La cura dei rapporti tra le detenute madri ed i loro figli è garantita dalla previsione di un colloquio straordinario mensile, tenuto all’aperto presso un’apposita area verde attrezzata all’interno dell’Istituto.
E’ assicurata alla popolazione detenuta la libertà di professare qualsiasi confessione religiosa, garantendo concretamente la pratica delle stesse, ad esempio con la diversificazione delle tabelle alimentari.
Arienzo
Le attività lavorative sono solo quelle c.d. domestiche. Esiste una programmazione scolastica del corso di scuola media inferiore e quello di scuola elementare che svolgono attività didattica compensata.
Esiste un corso di formazione professionale regionale per elettricisti. Sono stati effettuati un corso di serigrafia ed uno di recitazione, gestiti da un’associazione culturale, solo per i detenuti tossico ed alcol dipendenti.
Gli educatori sono 2. Buona possibilità di offrire offerte di trattamento individualmente ed anche quelle di trattamento rieducativo in comune.
Per le modalità del programma individualizzato di trattamento si seguono gli schemi ed i criteri di lavoro di gruppo, nella definizione e nel rispetto delle competenze reciproche dei singoli operatori.
Per la partecipazione esterna all’azione rieducativa è stato ampiamente promosso e pubblicizzato il carcere sul territorio a livello provinciale, ma anche regionale. Ad esempio, per far conoscere il carcere al mondo del volontariato è stato promosso un bando di concorso fra tutte le associazioni con sedi limitrofe, avente ad oggetto le attività che si sarebbero potute espletare.
Vi è comunque la necessità d’incentivare il territorio, carente dal punto di vista di volontariato in carcere.
L’uso del PC nella stanza è possibile, ma non vi è mai stata richiesta in tal senso. Le stanze sono fornite di TV.
La cura dei rapporti tra i detenuti e le famiglie è in collaborazione con il Centro di Servizio Sociale del Dipartimento competente per territorio.
Per il tempo libero nella stanza, i detenuti leggono e vedono i programmi televisivi. All’esterno praticano attività sportive. E’ stato organizzato anche qualche torneo di calcetto o di calcio balilla.
E’ garantita la massima libertà religiosa.
Carinola
Sono attivi un corso di scuola media, un corso per geometri e cinque corsi professionali: cuoco, pittura, ceramica, informatica, apicoltura.
Gli educatori sono 3.
Il gruppo di osservazione e trattamento dell’Istituto elabora ipotesi trattamentali individualizzate per i detenuti per i quali sia stata conclusa l’osservazione.
Il trattamento avviene attraverso l’inserimento graduale in attività lavorative prima domestiche e, successivamente, attraverso attività di maggiore responsabilità, attraverso l’inserimento in attività formative e scolastiche, nonché attraverso la partecipazione ad attività di tipo collettivo o individuale, come la pittura o la realizzazione di piccoli lavori artigianali o concorsi di poesia o tornei di calcio, dama, pin-pong, scacchi, e favorendo la partecipazione a riti religiosi.
Per quanto riguarda i contatti con l’esterno sono attive commissioni didattiche con i docenti delle scuole medie inferiori e superiori; numerosi i contatti con enti locali e centri di formazione professionale del territorio. Si cerca d’incentivare la partecipazione all’opera rieducativa di agenzie esterne scolastiche e formative ed è in atto un progetto di educazione alla legalità condotto da docente esterno volontario.
Due assistenti sociali, dipendenti dal CSSA di S.Maria Capua Vetere, si recano in Istituto settimanalmente per interventi professionali e per l’osservazione ed il trattamento.
Qualora sussistano ragionevoli motivi, come la frequenza di un corso scolastico, viene valutata la possibilità di uso del PC da parte dei detenuti nelle sale attrezzate per i corsi professionali, sotto l’attento controllo del personale di sorveglianza. E’ in fase progettuale l’inserimento, nelle sale polivalenti di ciascuna sezione, di attrezzature informatiche.
Per il tempo libero sono organizzati tornei di calcio. Buona parte dei detenuti si dedica alla pittura o pratica attività ginnica, pallacanestro, ping-pong, pallavolo, calcio balilla. Sono consentiti il gioco della dama, delle carte, degli scacchi ed i puzzle.
E’ garantita l’assistenza religiosa da parte dei ministri di culto cattolico e ministri di culto appartenenti ad altre fedi religiose.
Eboli
L’Istituto da molto spazio alle attività trattamentali quali il lavoro, la scuola, la formazione professionale e le attività culturali in genere. Vi è un corso di scuola dell’obbligo per il conseguimento del diploma di 3^ media . Non esiste un corso di istruzione di 2° grado. E’ stato attuato un corso di addestramento professionale per la qualifica di operatore di computer.
Gli educatori sono 2.
Gli assistenti sociali fanno parte dell’equipe integrata, curano i rapporti con il territorio e partecipano alla progettazione ed esecuzione delle diverse iniziative poste in essere.
I volontari collaborano con l’equipe nella realizzazione delle attività trattamentali.
Vengono realizzati percorsi individualizzati di recupero. Detti programmi vengono strutturati dall’equipe integrata a conclusione dell’osservazione della personalità e prevedono oltre che percorsi singoli, percorsi anche comuni.
Il programma di trattamento individua l’obiettivo da raggiungere e stabilisce le attività formative, lavorative, terapeutiche e trattamentali in genere che il detenuto deve seguire. Vengono ipotizzati anche eventuali percorsi in art. 21 L.P., permessi premiali e collettivi.
La realtà esterna partecipa all’azione rieducativa del soggetto detenuto attraverso dei progetti mirati, intra o extramurari.
E’ consentito l’uso del PC, anche nella camera, a richiesta dell’interessato per motivi di studio o lavoro.
Sono organizzate attività di tempo libero che impegnino i detenuti negli spazi vuoti della giornata: manutenzione degli spazi verdi o piccoli lavori domestici all’interno delle sezioni e/o degli spazi comuni.
I rapporti tra i detenuti ed i loro familiari vengono curati con particolare attenzione. Vengono effettuati incontri tra l’utente, la famiglia e gli operatori, laddove è previsto nel programma di trattamento, viene altresì reso operativo quanto previsto dall’art. 61 del D.P.R. 230/00.
Al momento non vi sono richieste di professare culti diversi da quello cattolico.
Lauro
Sono vigenti Protocolli d’Intesa con il Comune di Lauro, Associazioni, Cooperative e con l’Istituto Tecnico IPIA di Avellino,per il conseguimento della patente europea per il computer.
Per ciascun detenuto è formulato un programma di trattamento, che è redatto dall’equipe di osservazione e trattamento dell’Istituto in genere formata dal direttore, educatore, assistente sociale, esperto psicologo e comandante ed integrato, a seconda dei casi, dai rappresentanti del SERT di Avellino e dallo psichiatra.
Dopo un’osservazione che va da tre mesi a nove mesi, si riescono a edigere le relazioni di equipe. La lentezza è determinata dalla circostanza che i detenuti provengono, nel 75% dei casi, dalle aree metropolitane napoletane e le relazioni socio-familiari,che devono essere svolte dal CSSA di Napoli, vengono inviate dopo molto tempo.
Tra le prescrizioni del programma di trattamento, vengono previsti, a seconda del soggetto e dei risultati dell’osservazione, prescrizioni da seguire all’interno dell’istituto o anche previsioni di ammissione a benefici esterni (lavoro, permessi, ecc.).
Risulta fondamentale la verifica del progetto. Dallo scorso anno è finanziato una parte di un progetto di follow-up che prevede la sottoscrizione, durante la detenzione, di un accordo tra il detenuto e lo psicologo dell’istituto di continuare, dopo la fine della pena, i contatti con l’istituzione.
Il follow-up per l’anno 2002 ha consentito di seguire 24 ex-detenuti. Fino a marzo del 2003 sono stati seguiti 10 detenuti.
Sono organizzati e promossi tutti gli incontri possibili per integrare il carcere all’esterno. Sono promossi e stati realizzati incontri con scuole , comunità, gruppi teatrali e musicali, aziende, enti pubblici ed enti locali.
Settimanalmente vengono svolti colloqui con le famiglie ed i detenuti da parte degli psicologi.
Gli assistenti sociali partecipano alle attività ricreative.
Sono presenti solo due volontari che seguono il giornalino dell’istituto e, da giugno 2003, seguiranno il progetto regionale “ripar / azione”
I detenuti sono autorizzati ad accedere alla sala computer in tre fasce orarie. Non vi è alcun computer nelle camere, per le dimensioni molto ridotte delle stesse.
L’Istituto è fornito di attrezzature adeguate per gli svariati corsi e attività organizzate.
Vi è un corso di scuola media; un corso d’informatica; due corsi professionali regionali; un corso di video-maker, un corso di yoga, di teatro, lettura e per il giornalino. Da quest’anno, per mancanza di fondi, non sono stati attivati i corsi di pittura, musica ed attività sportiva guidata, che si sono svolti negli anni passati.
Sala Consilina
Non vi sono educatori. Vi è la presenza per due giorni al mese di un educatore mandato in servizio di missione.
Per tale ragione non vi è alcuna possibilità di trattamento.
Gli assistenti sociali sviluppano i programmi istituzionali previsti in carico per il normale servizio dell’esecuzione penale all’esterno.
I volontari, che pure in passato hanno operato, attualmente non sono presenti in questo istituto.
Si svolgono corsi d’istruzione elementare, corso d’impiantista elettrico.
La partecipazione esterna all’azione rieducativi si concretizza ogni qualvolta che vi sono richieste d’intervento volontario a tal fine.
Non è previsto l’uso del PC, né in camera, né in gruppo, perché non possibile da attuare nel contesto dell’Istituto.
Le attività di tempo libero sono passeggio, calcio balilla, ping-pong.
Le attività per la cura dei rapporti con i familiari sono colloqui e telefonate.
Vi è libertà di professare altre religioni oltre quella cattolica.
Ospedale Psichiatrico Giudiziario – Napoli
La popolazione internata è impegnata in attività lavorative ordinarie, nei corsi di formazione professionale, scolastica primaria e secondaria ed attività ergoterapeutiche.
Sono operativi corsi professionali della Regione Campania, compreso un laboratorio teatrale. Corsi di scuola elementare e corsi di scuola media.
Per l’individualizzazione del trattamento esiste, sulla base della predisposizione di ogni soggetto, un trattamento particolare, oltre a quello di trattamento comune in occasione di gite di gruppo, modulo teatrale, ecc.
Trattandosi di soggetti affetti da patologie psichiatriche si tende a promuovere iniziative finalizzate al reinserimento sociale, tramite l’apporto degli Enti sanitari territoriali (inserimento in strutture protette, case famiglia, comunità).
La Direzione ha stipulato convenzioni con varie ASL della regione Campania per il prosieguo assistenziale dei ricoverati dimessi.
Non esistono Associazioni che partecipano all’azione rieducativi.
Gli assistenti volontari non svolgono attività fissa in istituto, ma si limitano a venire sporadicamente per anamnesi socio-familiari e raramente per colloqui con gli internati.
E’ prevista la possibilità di PC all’interno delle camere detentive.
Il tempo libero viene occupato con il teatro, spettacoli musicali, cineforum, attività psico-motorie.
I rapporti con le famiglie vengono agevolati e disciplinati da parte dell’area educativa ed avvengono tramite contatti telefonici e colloqui tra operatori e familiari dei ristretti.
I ricoverati sono agevolati nel poter professare il loro credo religioso.
4. COLLOQUI CON I FAMILIARI
Napoli – Poggioreale
Sono effettuati dal lunedì al venerdì. Ogni detenuto ha diritto a sei colloqui di un’ora al mese.
Come da previsione regolamentare, è prevista una telefonata a settimana, della durata di dieci minuti.
Napoli- Secondigliano
I colloqui vengono fruiti in giorni della settimana prestabiliti da un apposito calendario portato a conoscenza dei ristretti e dei familiari. Ad ogni reparto è assegnato un giorno in cui i detenuti fruiscono del colloquio.
A causa dell’insufficienza delle linee telefoniche, non è possibile garantire equamente, per tutti i reparti, i colloqui telefonici previsti, di uno a settimana, della durata di dieci minuti.
Napoli – Pozzuoli
Le detenute possono usufruire di sei colloqui al mese, secondo le seguenti modalità: due giorni a settimana ed il secondo e quarto mercoledì del mese
La possibilità di corrispondenza telefonica è prevista quattro volte al mese, per una durata massima, per ciascuna telefonata, di dieci minuti.
Arienzo
I colloqui sono quelli previsti dalla legge, con possibilità di cumulare fino a sei colloqui ordinari mensili. Possibili anche quelli straordinari per motivi eccezionali, ad esempio per gravissimi e comprovati motivi di salute del detenuto, ricoverato all’esterno.
I colloqui si svolgono in un’unica sala con accesso possibile di otto colloqui per volta solo per ragioni di spazio e quindi anche di sicurezza.
Anche la corrispondenza telefonica è quella prevista per legge fino ad un massimo di una telefonata a settimana, per la durata di dieci minuti, considerando la volontà e la disponibilità del detenuto, perché è a sue spese.
Carinola
Il numero dei colloqui è di sei o quattro al mese, in ossequio alle disposizioni ministeriali. Si svolgono nelle giornate del martedì, mercoledì, giovedì, con un criterio di rotazione per sezione, elle sale all’uopo predisposte sotto il controllo visivo e non auditivo del personale di sorveglianza.
I detenuti fruiscono di una telefonata a settimana o di due mensili, nel rispetto delle disposizioni vigenti. La durata della telefonata è di dieci minuti.
Eboli
Sei colloqui mensili. Vengono effettuati nella saletta sprovvista di vetro divisorio e presso l’area verde nei casi in cui ciò è previsto.
Mediante un apparecchio telefonico vengono effettuate le telefonate tra i detenuti con persone aventi diritto. La durata è di dieci minuti. Rari i casi di richieste per telefonate straordinarie.
Lauro
Sei colloqui al mese per ciascun detenuto, con possibilità di richiederli congiunti. Una volta al mese, in occasione di particolari ricorrenze, è concesso a tutti i detenuti un colloquio di 5 ore (10.00 – 15.00) con i loro familiari. Per quei detenuti per i quali è formulata, nel programma di trattamento, la prescrizione d’incentivare i rapporti familiari, è autorizzato uno o più colloqui al mese di 5 ore, a cui, in parte, è presente lo psicologo.
E’ prevista una telefonata a settimana, tramite operatore, della durata di dieci minuti, con orario 9/14. Un giorno alla settimana, dalle 16.00 fino ad esaurimento delle richieste.
Sala Consilina
Il numero dei colloqui concessi è di sei al mese. Vengono effettuate telefonate da parte dei detenuti, settimanalmente con durata di dieci minuti.
Ospedale Psichiatrico Giudiziario
I colloqui vengono concessi, così come previsto dall’Ordinamento Penitenziario, avendo cura di agevolare i familiari che provengono da fuori regione prolungando loro i colloqui da una a due ore. Sono organizzati con cadenza bisettimanale – martedì e sabato – e si svolgono in una sala all’uopo attrezzata; ultimamente si sta sperimentando, come modalità, quella di svolgere l’ora di colloquio in uno spazio verde dell’istituto, attrezzato con tavolini e sedie, privilegiando coloro che hanno prole di età inferiore ai dieci anni.
La corrispondenza telefonica è disciplinata così come previsto per legge ed avendo cura di agevolare coloro che, pur non essendo nei termini, hanno la necessità di dover avvisare i propri familiari, allorquando vengono concessi benefici con affidamento.
5. VISITE MEDICHE DI CONTROLLO
Napoli- Poggioreale
Una visita medica di controllo è effettuata all’ingresso. Successivamente ogni qual volta sia ritenuta necessaria dal sanitario o richiesta dal detenuto.
Napoli - Secondigliano
La frequenza di visite sanitarie di controllo è di tre a settimana.
Napoli – Pozzuoli
(dato non fornito)
Arienzo
Il sanitario effettua visite quotidiane
Carinola
Le visite sanitarie di controllo hanno frequenza mensile. Quotidianamente funziona il servizio di guardia medica permanente.
Eboli
Le visite sanitarie di controllo vengono effettuate con frequenza periodica a tutti i detenuti.
Lauro
Il sanitario dell’Istituto è presente quotidianamente. Le visite sono molto frequenti. L’ASL visita annualmente l’istituto.
Sala Consilina
Le visite sanitarie di controllo, intese come normale monitoraggio nel contesto quotidiano delle normali attività ambulatoriali dell’Ufficio Sanitario, avvengono settimanalmente, considerata la modesta dimensioner della struttura.
Ospedale Psichiatrico Giudiziario –Napoli
Durante l’arco dell’anno solare vengono effettuate, come per legge, 2 visite sanitarie di controllo, da parte dell’ASL competente.
6. ORE DI ARIA
Napoli – Poggioreale
Sono concesse due ore di aria al giorno. Una la mattina, l’altra il pomeriggio
Napoli – Secondigliano
Sono previste quattro ore di aria al giorno, che possono diminuire in considerazione della tipologia dei detenuti, nonché di determinate patologie di salute, come isolamenti sanitari, giudiziari, ecc..
Napoli – Pozzuoli
E’ possibile usufruire di tre ore di aria al giorno. Un’ ora e trenta minuti al mattino, un’ora e trenta minuti al pomeriggio.
Arienzo
Sono previste quattro ore di aria, suddivise tra mattina e pomeriggio.
Carinola
I detenuti fruiscono di quattro ore di aria al giorno
Eboli
Sono concesse due ore di aria la mattina e due ore il pomeriggio
Lauro
I detenuti fruiscono di quattro ore di aria al giorno. Le celle sono comunque aperte dalle 7.00 alle 23.00. Le Sezioni sono aperte dalle 8.30 alle 20.00
Sala Consilina
Sono concesse quattro ore di aria al giorno
Ospedale Psichiatrico Giudiziario
Sono concesse quattro ore di aria, così suddivise: 9.00/11.00 ; 13.00/15.00. Inoltre nel periodo estivo viene introdotto un ulteriore periodo d’aria che va dalle 16.30 alle 18.30.
7. MODALITA’ DI CONSUMO DEI PASTI
Napoli - Poggioreale
La cucina prepara circa 5.000 pasti al giorno. Il vitto è consumato nelle celle dove è consentito l’uso di fornelli.
I detenuti possono ricevere, dalle famiglie, 4 pacchi al mese, per un totale di 20 Kg.. Sono destinatari soprattutto di generi alimentari, in quanto in minoranza usufruiscono del servizio mensa e la maggior parte preferisce cucinare nelle celle.
Napoli – Secondigliano
La cucina prepara, in media 3800 pasti al giorno, che sono preparati avendo cura delle varie patologie di ogni soggetto, nonché l’eventuale appartenenza religiosa. E’ consentito l’uso dei fornelli nelle camere, per riscaldare vivande e preparare cibi di facile approntamento.
Il vitto è consumato nelle celle, mentre al Reparto Verde viene consumato nei refettori delle sezioni.
I detenuti ricevono dai familiari 4 pacchi mensili che devono avere complessivamente un peso non superiore a 20 kg.
Napoli – Pozzuoli
Il vitto viene consumato all’interno della camera detentiva. E’ consentito, nelle camere, l’uso dei fornelli alimentati a gas, per riscaldare gli alimenti e per cucinare quelli di facile cottura.
Le detenute possono ricevere, dalle famiglie, 4 pacchi al mese per un peso complessivo di 20 Kg.
Arienzo
Il vitto è consumato nella camera. Non esiste la sala per la refezione. E’ previsto anche il c.d. menù bianco, solo sulla base di un referto sanitario.
E’ consentito l’uso di forellini nelle camere per riscaldare cibi.
I detenuti possono ricevere quattro pacchi al mese dai familiari, complessivamente di peso non superiore ai 20 Kg., contenenti solo generi di abbigliamento e generi alimentari che non richiedono manomissioni nelle operazioni di controllo e che non siano facilmente deteriorabili.
Carinola
Il vitto è consumato in cella. E’ consentito l’uso di fornelli nelle camere solo per i generi alimentari elencati nel Mod.72, per la preparazione di cibi di facile preparazione o per riscaldare liquidi o cibi già cotti.
I detenuti possono ricevere quattro pacchi al mese.
Eboli
Non vi è più cucina. Vengono consegnati i generi crudi ai detenuti che provvedono a cucinare nell’ambito dei refettori previsti, dove è anche consumato il vitto.
Non è consentito l’uso di fornelli nelle camere.
I detenuti possono ricevere dai familiari quattro pacchi al mese.
Lauro
Il vitto è consumato nella socialità delle due Sezioni. E’ consentito l’uso di fornelletti nelle camere, per riscaldare i cibi già cotti, oppure un uovo o un’hamburger acquistato al sopravitto.
I detenuti possono ricevere dai familiari quattro pacchi al mese.
Sala Consilina
La cucina prepara mediamente 30 pasti per il giorno e 30 pasti serali. Il vitto è consumato nelle celle. E’ consentito l’uso di fornelli per alimenti di facile cottura.
I detenuti possono ricevere dai familiari quattro pacchi al mese, per un totale di 20 Kg.
Ospedale Psichiatrico Giudiziario
La cucina prepara cibi differenziali in ragione dello stato di salute dei singoli ricoverati, secondo le varie patologie, e rispettando i vari credi religiosi.
Il vitto è consumato all’interno dei refettori, nelle sezioni ove sono esistenti ed all’interno delle camere, dove è consentito l’uso di fornelli a gas, occorrenti per lo più per riscaldare cibi precotti acquistabili presso il sopravitto e per la preparazione di bevande calde.
I ricoverati ricevono 4 pacchi mensili per un peso complessivo di 20 kg.
8. VISITE DA PARTE DI: MINISTRI, MEMBRI DEL PARLAMENTO, COMPONENTI CSM, PRESIDENTI DI CORTE DI APPELLO, PROCURATORI GENERALI, PRESIDENTI DI TRIBUNALE, PROCURATORI DELLA REPUBBLICA, MAGISTRATI DI SORVEGLIANZA, CONSIGLIERI REGIONALI, PREFETTI, QUESTORI, CAPO GABINETTO DELL’AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA, PROVVEDITORE.
Napoli- Poggioreale
Recente la visita del ministro della Giustizia e di vari membri del Parlamento. Regolari le altre visite.
Napoli- Secondigliano
Numero di visite in un anno:
Ministri: 1
Componenti CSM: 0
Membri del Parlamento: 2
Presidenti Corte d’Appello: 2
Procuratori Generali: 1
Presidenti del Tribunale: 1
Procuratori della Repubblica: 2
Magistrati di Sorveglianza: 10
Consiglieri Regionali: 3
Prefetti: 1
Questori: 1
Capo del D.A.P.: 2
Provveditore: 11
Napoli – Pozzuoli –
La percentuale di visite all’Istituto è variabile
Arienzo
Per le visite è stata molto intensa la partecipazione del Magistrato di Soreveglianza e del Procuratore della Repubblica di S.M. Capua vetere. Il questore di Caserta ha partecipato all’ultima festa del corpo. Due consiglieri regionali hanno fatto visita al Carcere.
Carinola
Le visite da parte delle autorità indicate sono limitate a particolari ricorrenze o verifiche fermo restando che gli appartenenti all’Amministrazione Penitenziaria effettuano visite periodiche.
Eboli
La percentuale di visite è minima. Nel corso dell’anno si sono registrate visite da parte del Magistrato di Sorveglianza competente. Alla fine dello scorso anno, l’istituto fu visitato dalla Commissione Giustizia.
Lauro
Nel 2002, l’Istituto è stato visitato 3 volte dal Magistrato di Sorveglianza.
Nel 2003, 1 volta un parlamentare, 1 volta il Provveditore Regionale, 3 volte il Magistrato di Sorveglianza
Sala Consilina
La percentuale di visite da parte delle persone indicate è molto bassa, di tipo occasionale.
Ospedale Psichiatrico Giudiziario – Napoli
Le visite da parte delle Autorità Pubbliche elettive avvengono con cadenza annuale. Mentre sono più frequenti le visite da parte del Magistrato di Sorveglianza e del Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria.
9. ATTIVITA’ SVOLTA DAL CONSIGLIO DI AIUTO SOCIALE ALL’INTERNO DELL’ISTITUTO.
Napoli- Poggioreale
Solo da pochissimo tempo è stato istituito il “Consiglio di aiuto sociale” dal Presidente del Tribunale di Torre Annunziata, Dott. Greco. Il Consiglio si pone l’obiettivo del reinserimento sociale degli ex-detenuti del circondario di Torre Annunziata. Non risulta esista un’iniziativa analoga per il Tribunale di Napoli.
Napoli – Secondigliano
Dato non pervenuto
Napoli – Pozzuoli
Dato non pervenuto
Arienzo
Per il Consiglio di aiuto sociale non vi è alcun segno di presenza.
Carinola
Dato non pervenuto
Eboli
Il Consiglio di aiuto sociale non svolge alcuna attività all’interno dell’Istituto
Lauro
Il Consiglio di aiuto sociale è stato eliminato con la L. 328/00
Sala Consilina
Il Consiglio di aiuto sociale non svolge alcuna attività
Ospedale Psichiatrico Giudiziario – Napoli
Non si riceve alcun supporto dal Consiglio di Aiuto Sociale.
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