Ieri abbiamo appreso della morte di Bernardo Provenzano, ricoverato oramai da quasi due anni nel reparto detenuti dell’Ospedale San Paolo di Milano. Era affetto da gravissime patologie ed il suo stato era ulteriormente peggiorato per un’infezione polmonare, riducendolo in uno stato praticamente vegetativo.
In una delle ultime diagnosi i medici dell’ospedale avrebbero evidenziato un grave stato di decadimento cognitivo, lunghi periodi di sonno, rare parole di senso compiuto, eloquio assolutamente incomprensibile, concludendo che il paziente era "incompatibile con il regime carcerario".
Il 4 aprile scorso, il Ministro della Giustizia, nonostante il parere contrario di alcune Procure della Repubblica, ma con il parere favorevole della Direzionale Nazionale Antimafia, ha prorogato, attesa la sua “elevata pericolosità”, il regime del cd. carcere duro previsto dall’art. 41 bis. dell’Ordinamento Penitenziario. Inutile dire che, per lo stato di salute del Provenzano, non vi era alcuna delle condizioni previste dalla legge per l’adozione della provvedimento di proroga, alcun contatto Vi poteva essere tra il Provenzano e l’organizzazione criminale di appartenenza, e l’U.C.P.I. aveva pubblicamente denunciato l’illegalità del provvedimento di proroga.
Negli ultimi giorni i sanitari che lo avevano in cura avevano comunicato ai familiari il suo imminente decesso. Questa volta i legali del Provenzano erano convinti che nella patria del diritto, nella culla del cristianesimo, in uno dei primi stati firmatari della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, nessun magistrato avrebbe mai negato la sospensione della pena per gravi ragione di salute. Ma si sbagliavano. L’istanza presentata solo 3 gg. fa è stata ancora una volta rigettata dalla Magistratura di Sorveglianza, e con una motivazione che, per quanto riportato sui quotidiani, lascia sgomenti: il pericolo di “rappresaglie”, qualora non adeguatamente protetto, e ciò a causa dei terribili delitti di cui si era macchiato in vita. Come se qualcuno potesse avere davvero interesse ad infierire su un essere umano che sta per morire.
Non è nemmeno arrivata in tempo l’autorizzazione ai familiari di poterlo rivedere, e che era stata richiesta nei ultimissimi giorni antecedenti la morte.
Prima di scrivere queste poche righe ho voluto comprendere quali fossero le reazioni pubbliche a questa indegna vicenda giudiziaria.
La sintesi di alcuni commenti è che Provenzano è un simbolo della vittoria dell’Antimafia sulla Mafia, dello Stato sull’Antistato, che, con la durezza del trattamento riservato al noto “boss”, lo stato ha voluto ammonire e dare un segno della sua forza a tutte le associazioni di stampo mafioso.
Che strano.
Pensavo di vivere in un paese la cui costituzione all’art. 3 insegna che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge ed hanno pari dignità sociale.
Pensavo di vivere in un paese che ha tra i suoi cromosomi culturali l’imperativo categorico di Kant, che ammonisce a trattare l’altro sempre come fine e mai come mezzo.
Pensavo di vivere in un paese indisponibile a sacrificare il più elementare senso di umanità in nome del superiore interesse dello Stato.
Pensavo di vivere in un paese in cui i magistrati sono soggetti soltanto alla legge.
Pensavo di vivere in una Paese in cui vige con tutta la sua forza cogente la Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo che vieta i trattamenti inumani e degradanti.
Mi sbagliavo.
In nome dell’antimafia siamo disposti a tutto. Anche a violare leggi e costituzione.
Avv. Sergio Schilitzer
Presidente de Il Carcere Possibile Onlus