|
Lo sconcertante epilogo della vicenda di Assarag. Siamo rimasti esterrefatti nel leggere il provvedimento con il quale il p.m. avrebbe chiesto l’archiviazione del procedimento penale a carico di alcuni agenti della polizia penitenziaria indagati del reato di abuso dei mezzi di correzione o disciplina. Il caso è quello del detenuto marocchino Rachid Assarag che era riuscito a registrare un colloquio avuto nel novembre del 2013 con alcuni agenti di p.p. del carcere di Prato. Nel corso delle conversazione l’interlocutore della p.p. non solo ammetteva implicitamente che il detenuto era stato percosso alla sua presenza da altro suo collega, ma aggiungeva che il metodo del bastone a volte permetteva di avere ottimi risultati, e che il carcere è fuori legge, perché se si fosse applicata la Costituzione doveva essere chiuso da venti anni. Secondo quanto leggiamo sulla stampa, nella richiesta di archiviazione il sostituto Procuratore, pur definendo inquietanti le dichiarazioni registrate, definisce le stesse come una sorta di lezione di vita carceraria. Sempre a sostegno del provvedimento il p.m. avrebbe rilevato che le accuse di percosse non avrebbero trovato alcuna conferma nelle dichiarazioni del personale sanitario, che anzi avrebbe definito l’Assarag come una persona problematica oggetto di numerosi rapporti disciplinari. Infine lo stesso Assarag non sarebbe stato in grado di riconoscere gli agenti che lo hanno percosso. Pur non volendo entrare nel merito delle valutazioni del magistrato, ci permettiamo di far osservare che per individuare l’interlocutore della registrazione audio sarebbe stato sufficiente raccogliere dei saggi fonici degli agenti dell’Istituto. Senza considerare che la gravità delle affermazioni espresse nella registrazione avrebbero meritato ben altro tipo di indagine e non certo la mera audizione del personale del medesimo istituto nel quale operano gli agenti che si presumono autori delle percosse!!!!!! Ma si sa, in Italia le indagini sui maltrattamenti operati dalla Polizia Penitenziaria si chiudono quasi sempre in un nulla di fatto, nonostante numerosi procedimenti abbiano comprovato che la violenza è tutt’altro che sconosciuta ai nostri istituti. In ogni caso, non possiamo che condividere quanto già affermato dall’Osservatorio Carcere dell’U.C.P.I. in merito al tenore del provvedimento. Gli avvocati penalisti ben conoscono che negli atti dell’Autorità Giudiziaria si leggono molto spesso giudizi severissimi in ordine al disvalore etico delle condotte oggetto di indagine, eppure nel caso di Assarag le gravissime parole dell’Agente di Polizia Penitenziaria verrebbero definite solo inquietanti, e frasi come “se il collega te le dà, io entro in cella e te la do pure io, poi siamo in due a dartele”, oppure “se ti volevamo picchiare era facile, ti pigliavamo, i portavamo giù e ti picchiavamo”, apparirebbero agli occhi della Procura mere “lezioni di vita carceraria, più che minacce ed affermazioni di supremazia assoluta o negazione dei diritti”. Ben altra reazione ci saremmo aspettati dalla Magistratura dinanzi a simili eresie, pronunciate a chiare lettere nei confronti dell’ultimo dei detenuti, un immigrato, da chi, anziché sovrintendere alla sua custodia ed alla sua sicurezza personale, si erge ad improvvisato maestro di improbabili lezioni in cui la violenza carceraria viene eretta a modello educativo, e nelle quali si sostengono tesi contrarie al nostro ordinamento ed alla nostra costituzione. Riteniamo necessario non solo che il Ministro della Giustizia voglia intervenire immediatamente per accertare quanto accaduto, ma chiediamo anche che proceda ad una revisione immediata dei programmi di formazione degli agenti di polizia penitenziaria, e che valuti l’opportunità di farsi promotore dell’introduzione di una autonoma figura di reato che sanzioni specificamente il singolo atto di violenza commesso ai danni di un detenuto e che consenta l’utilizzo di ogni strumento investigativo necessario al relativo accertamento. Ma soprattutto confidiamo che in futuro la magistratura indaghi e condanni con ben maggiore fermezza simili episodi. Auspichiamo, anzi attendiamo, che la magistratura ci dimostri, con i fatti, che con la libertà non si perde anche la credibilità, o peggio ancora la dignità, che le denunce dei detenuti non sono fastidiosi sussurri che nessuno vuole ascoltare. Avv. Sergio Schiltzer Presidente de Il Carcere Possibile Onlus |