DOPO SETTE MESI, FINALMENTE, LA NOMINA DEL CAPO DEL DIPARTIMENTO DELL'AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA
La scelta non è stata evidentemente facile. Ma ora si "cambierà verso" ?
Dal 1983 il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria è sempre stato un Magistrato. Non vi è alcun obbligo. Scelte giuste? Viste le condizioni in cui versano le nostre carceri si direbbe di no, come confermano anche i giudizi della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Per valutare tale tipo di preferenza che ha caratterizzato le nomine, occorre conoscere quali sono i compiti del capo del DAP: sovrintende a circa 50mila lavoratori, a circa 80mila detenuti compresi quelli in misura alternativa, alla manutenzione di 205 istituti di pena, alla costruzione di nuove carceri, deve avere rapporti con Enti Locali, associazioni di volontariato, sindacati. Un programma di lavoro che spaventerebbe il più esperto dei manager, ma che si ritiene possa essere affidato a persone che hanno tutt’altro curriculum, per quanto lo stesso possa essere colmo di successi giudiziari.
Non è sfuggita a tale logica la nomina di Santi Consolo, Magistrato, già Vice-Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria dal 2010 al 2011. Una scelta, dunque, che, almeno sulla carta, non porta alcuna – pur a nostro avviso necessaria – novità.
Formuliamo gli auguri per il nuovo incarico e attendiamo la svolta, che ovviamente dipenderà anche dai provvedimenti che in tema di Giustizia, il Parlamento e il Governo emaneranno.
Consigliamo al neo-nominato, di vedere la trasmissione “Report” andata in onda domenica scorsa sullo stato delle nostre carceri. Programma che ha il merito di aver esplorato il tema economico strettamente legato alle problematiche relative alla detenzione . Un’impostazione nuova per un servizio televisivo, che ha messo in evidenza l’assoluta ignoranza di alcuni parlamentari, rappresentanti del Governo e di Enti Locali sulla normativa vigente in materia. I “non saprei” e i “non è di mia competenza” sono state dichiarazioni allarmanti, se poste in relazione con il costo mensile di ogni detenuto – circa 4.000 euro – in un momento in cui il Paese è lacerato da una perdurante crisi economica. Va immediatamente chiarito che i 4.000 euro, corrispondono alla cifra spesa per l’organizzazione di quel settore del Ministero della Giustizia che è rappresentato dall’Amministrazione Penitenziaria. Di tale somma, per il detenuto sono spesi 100 euro al mese per pranzo, colazione e cena (3,50 euro al giorno) e circa 24 centesimi al mese per il trattamento della personalità ed assistenza psicologica (0,8 centesimi al giorno). Il resto, circa 3.900 euro al mese è speso per il personale (80%), per la manutenzione delle strutture (4%), per il loro funzionamento (3%), per il corredo, le cure sanitarie, l’istruzione del detenuto (13%). Che tali voci di spesa siano precise o meno, non importa, quello che è certo è che la gestione dell’Amministrazione Penitenziaria rappresenta una vera e propria catastrofe economica, laddove vi è una spesa enorme che non garantisce un risultato conforme alla Legge. Il Governo, poi, per evitare ulteriori condanne e sanzioni, è stato costretto ad emanare un provvedimento che prevede il risarcimento di 8 euro al giorno, per i detenuti che sono stati ristretti, subendo un trattamento disumano e degradante.
E’ dalle macerie di questo disastro , che il nuovo Capo del Dipartimento dovrà partire se vorrà effettivamente “cambiare verso”. Le Camere Penali e le Associazioni sono più volte intervenute per sollecitare una maggiore attenzione per il lavoro in carcere e all’esterno, per le misure alternative alla detenzione, per l’aumento delle risorse destinate al trattamento, al personale specializzato, ma soprattutto per una nuova visione del carcere che può autogestirsi, con la stessa forza lavoro che è all’interno della struttura. E’ questa la svolta che si attende.
In questi ultimi anni, invece, le risorse sono diminuite con percentuali rilevanti, che hanno soprattutto interessato servizi e beni destinati ai detenuti, lasciando gli stessi in balia dell’ozio totale, senza alcun progetto rieducativo e lavorativo, che possa avviare quel processo di reinserimento nella società.
Il Ministro della Giustizia ha recentemente dichiarato che “sul carcere paghiamo molti ritardi” che “è una grande sfida culturale che è ancora assediata da numerosi nemici”, che bisogna andare “controcorrente rispetto a campagne demagogiche e populiste che fanno leva sulla paura” (Ansa 27 novembre 2014), non possiamo che essere d’accordo, ma tutto ciò presuppone una nuova idea di carcere, visto come estrema ratio, un diverso modello di pena, che possa effettivamente rispettare la sua funzione rieducativa e soprattutto un sistema processuale più efficace e snello. Ad esempio, perché non dare la possibilità al Giudice di Merito (colui che meglio conosce i fatti relativi alla condanna e lo stesso autore del reato) d’infliggere una misura alternativa, di prevedere un totale di ore da dedicare a servizi sociali o a lavori socialmente utili ? Lasciare tale compito al solo Magistrato di Sorveglianza (che non conosce il processo, ma decide sulla scorta di veline inviate dalla Polizia) è del tutto fuori da ogni logica e provoca un inutile sovraccarico di lavoro, che tra l’altro sconta ritardi enormi che spesso rendono inutile lo stesso provvedimento.
Saprà il Ministro portare avanti la più volte invocata “sfida culturale” ? Il neo nominato Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria è pronto ad affrontare questa battaglia tanto giusta, quanto impopolare ? Vedremo. Le Camere Penali faranno la loro parte.
Avv. Riccardo Polidoro
Responsabile Osservatorio Carcere
Unione Camere Penali Italiane