|
Napoli, 4 gennaio 2012_____________In un Paese civile quando il Consiglio dei Ministri dichiara uno stato di emergenza, l'intero apparato istituzionale si adopera per eliminarlo. Emergenza vuol dire pericolo, vuol dire urgenza, vuol dire corsie preferenziali per affrontare la catastrofe in atto. In Italia tutto ciò non avviene. Non a caso è la nazione che ha coniato il termine "emergenza dell'emergenza", come è avvenuto ad esempio per i rifiuti a Napoli. Problema vitale per una comunità che ancora oggi, dopo decenni, non trova soluzione.
Come per la spazzatura, anche per i detenuti - da molti considerati "rifiuti" dell'umanità - nulla è stato fatto, nonostante nei primi mesi del 2010 il Consiglio dei Ministri abbia proclamato lo "stato di emergenza" nelle carceri italiane. Stato di emergenza prorogato per tutto il 2011 e, in questi giorni, esteso all'intero 2012. Politici che vedono cittadini morire, patire sofferenze ingiuste, perdere la dignità, ammalarsi, consumarsi e non ritengono d'intervenire, nonostante lo Stato sia direttamente responsabile della situazione in cui essi si trovano. Rifiuti appunto, perchè sono rifiutati. Eppure, solo la libertà può essere a loro tolta, mentre restano titolari di tutti gli altri diritti.
Nell'anno appena concluso sono stati 186 i morti negli Istituti di Pena, tra questi 66 i suicidi. Nel 2010 il numero dei suicidi è stato identico, mentre i morti sono stati 184. Nel 2012, sono già 2 i morti, uno di questi si è suicidato.
La media in questi ultimi due anni è di un morto ogni 2 giorni. Una vera e propria "morìa" che lascia indifferente l'opinione pubblica, nonostante sia chiaro a tutti che l'immane tragedia è dovuta essenzialmente alla costante violazione di legge perpetrata negli Istituti di Pena, con ritardi nei ricoveri anche urgenti, con condizioni igienco-sanitarie disastrose, con privazione dela mobilità essenziale, con il mancato rispetto delle elementari regole del vivere civile.
Nel 2010, nel proclamare lo "stato di emergenza", l'allora Ministro della Giustizia disse che eravamo dinanzi ad una riforma "epocale" che avrebbe risolto finalmete l'emergenza-carcere. Da allora, pur rimanendo in carica per oltre un anno, il suo ministero si è occupato di altro, sopratutto di tentare la riforma - certamente meno "epocale" - di norme in materie non urgenti come le continue morti nelle carceri. Il 2011 ha visto la nomina di un altro Ministro che, prendendo atto del dramma-carcere, ha promesso un intervento rapido, ma più rapida è stata la caduta del Governo.
Intanto, negli ultimi giorni del 2011, il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria ha emanato una circolare che vorrebbe attribuire ad ogni detenuto un codice, o meglio un colore: bianco, verde, giallo e rosso. Porte delle celle aperte per i codici bianchi, da valutare per i codici verde e giallo, chiuse per i rossi. L'atto, che per il Dipartimento mira ad innovare la gestione dei detenuti, in realtà non fa altro che ripetere le raccomandazioni che prima di ogni estate vengono date alle direzioni degli Istituti per evitare che il caldo possa essere un ulteriore elemento per spingere al suicidio o per aggravare patologie in corso. Ora come allora i Direttori delle carceri non potranno aderire alla circolare, perchè il sovraffollamento, la tipologia delle strutture e la mancanza di personale e di risorse non consente una disciplina diversa della detenzione. Le disposizioni del D.A.P. prevedono, inoltre, modalità di accertamento nell'attribuzione dei codici e di conferma degli stessi alquanto complesse, del tutto irrealizzabili, come altre norme dell'Ordinamento Penitenziario che da oltre trent'anni non trovano attuazione.
Un 2011 quindi tragico, ancora più del 2010, quando si pensava di aver toccato il fondo.
Quali le prospettive ? Il nuovo Ministro appare molto motivato. Le sue dichiarazioni lasciano ben sperare, con la dovuta naturale diffidenza di chi alle buone intenzioni, che tali restano, è abituato. Depenalizzazione, abolizione di norme carcerogene, ricorso a misure alternative e a pene diverse dal carcere, sono strade da tempo indicate dall'Avvocatura e dalle Associazioni, che devono trovare un' immediata concreta applicazione.. Realizzando tali riforme, impegnando maggiori risorse economiche, si può pensare anche di emanare l'amnistia e l'indulto - istituti che rappresentano la resa dello Stato e la sua incapacità di governo - per poter tornare all'anno zero e coltivare finalmente quel sogno che è la rieducazione del condannato, principio costituzionale ormai da tempo abrogato. L'Italia tornerà ad essere un Paese civile, lasciando meno spazi alla criminalità organizzata, che, anche grazie all'emergenza carcere, riesce a trovare nuove risorse umane tra coloro che vedono lo Stato come un nemico.
Stia attento però il Ministro a fare i conti con la situazione reale. L'avere , ad esempio, con il Decreto Legge in vigore dal 23 dicembre u.s., abbreviato i termini per l'arresto in flagranza e disposto che entro 48 ore debba essere celebrato il giudizio direttissimo, senza portare il detenuto in carcere, ma facendolo stazionare nelle celle di sicurezza del Corpo che ha provveduto all'arresto, e ove ciò non sia possibile è necessario un provvedimento motivato del Pubblico Ministero, non risolve il problema del detenuto, perchè questi vivrà un trauma maggiore viste le condizioni in cui si trovano la maggior parte delle celle di sicurezza in Italia e la carenza di risorse della Polizia Giudiziaria per tale evenienza. Tale provvedimento, inoltre, ridurrà solo parzialmente gli ingressi in carcere, perchè è facile prevedere che assisteremo ad una sostanziale diminuzione dei giudizi direttissimi e a un aumento delle convalide. L'arrestato sarà portato in carcere per la convalida e non dinanzi al Giudice per il processo.
Il Governo c.d.dei Professori comprenderà che l'emergenza è urgenza ? Che troppo tempo si è atteso. Noi, come titolava un quotidiano napoletano, all'indomani del terremoto, diciamo "FATE PRESTO". |