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Napoli, 27 gennaio 2011 - Tra gli argomenti trattati, il fallimento della L. 199/2010 c.d. svuotacarceri, che, ad oggi, ha visto uscire dalle carceri per andare agli arresti domiciliari 744 detenuti, a fronte dei 7000 che erano stati indicati dal Ministro nel presentare la legge. In Campania, allo stato, ne hanno usufruito solo 64 persone.
IL DOCUMENTO:
CAMERA PENALE DI NAPOLI – IL CARCERE POSSIBILE ONLUS
INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO DEI PENALISTI ITALIANI
LA GIUSTIZIA SENZA QUALITA’
PROCESSO ALLE TESSERE SBIADITE DEL MOSAICO GIUDIZIARI
- IL CARCERE –
L’inaugurazione dell’Anno Giudiziario rappresenta l’occasione per un pubblico dibattito sulla situazione della Giustizia. Il titolo, che le Camere Penali hanno voluto dare alla manifestazione, riproduce fedelmente la situazione reale. La mancanza di “qualità” si avverte in ogni settore della Giustizia ed in particolare modo in quello penitenziario, dove alla privazione della libertà si accompagna spesso la vera e propria illegalità dello stato di detenzione.
Nel 2010 sono morti negli Istituti di pena 173 persone ( all’incirca una ogni due giorni), di queste 66 si sono suicidate (una ogni cinque giorni). I tentati suicidi sono stati 1.134, mentre 5.603 gli atti di autolesionismo. Dall’inizio del 2011, i morti sono 9, i suicidi 5, tutti giovani al di sotto dei 35 anni. A fronte di una capienza regolamentare di 44.877 posti, vi sono, oggi, nelle carceri italiane circa 70.000 detenuti (di cui quasi la metà in attesa di giudizio), presenze che superano di gran lunga il dato che costrinse, nel luglio 2006, il Parlamento ad emanare l’indulto.
Un anno fa, il 14 gennaio, il Consiglio dei Ministri dichiarò lo “stato di emergenza” nelle carceri italiane, per tutto il 2010. Il Ministro della Giustizia affermò “Quella che ci accingiamo a compiere è una missione che non ha precedenti nella storia della Repubblica, perché per la prima volta si vuole risolvere il problema del sovraffollamento carcerario senza dover ricorrere all’ennesima amnistia o a provvedimenti d’indulto, ma volendo dare dignità a chi, comunque, deve scontare una pena detentiva”.
Il programma del Governo prevedeva di “restituire dignità” ai detenuti sulla base di 4 punti essenziali, che il Ministro definì “pilastri” della riforma: 1) Edilizia Penitenziaria; 2) Detenzione domiciliare per chi deve scontare solo un anno di pena residua; 3) Messa alla prova delle persone imputabili fino a tre anni; 4) Assunzione di 2.000 nuovi agenti di Polizia Penitenziaria.
In realtà nulla in concreto è stato fatto ed il 13 gennaio scorso, lo “stato di emergenza” è stato prorogato a tutto il 2011.
La sola “detenzione domiciliare” ha trovato una limitatissima applicazione con la Legge N. 199/2010, c.d. “svuotacarceri”, entrata in vigore il 16 dicembre u.s. , che per le esclusioni oggettive e soggettive e per il richiesto requisito dell’”idoneità del domicilio”, non ha “svuotato” assolutamente nulla, illudendo ancora una volta migliaia di detenuti, già afflitti da insopportabili tensioni psicologiche, per le condizioni in cui sono costretti a vivere.
Nell’annunciare l’entrata in vigore il Ministero della Giustizia aveva rilevato che ne avrebbero usufruito circa 7.000 detenuti, invero ad oggi, dopo oltre un mese dalla sua applicazione, sono pochissimi i detenuti che sono stati posti agli arresti domiciliari. In Campania, dove vi sono 17 Istituti che ospitano circa 8.000 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 5.527 posti, fino a ieri 26 gennaio, si sono giovati della L.199/2010 solo 66 persone (7 donne e 59 uomini, nessun extracomunitario).
Nella Casa Circondariale di Poggioreale, che ha una capienza tollerabile di 1.300 detenuti e ne ospita 2700, sono usciti, per il regime domiciliare 35 persone.
Se si pensa che la Campania, con il Lazio, la Sicilia e la Lombardia è la regione con il numero più elevato di reclusi, si comprende che anche a livello nazionale la legge non ha raggiunto, né poteva raggiungere il suo scopo.
Va altresì puntualizzato che non tutti i detenuti che hanno lasciato il carcere dovevano scontare effettivamente ancora un anno di pena, tra loro c’è chi aveva solo pochi giorni che lo separavano dalla libertà.
Tale dato rende ancora più evidente l’inganno della legge, che ha, tra l’altro, contribuito ad aumentare le competenze e il lavoro dell’Amministrazione Penitenziaria e dei Tribunali di Sorveglianza già con organici carenti e non ha affatto tenuto in debito conto le realtà territoriali.
Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, dopo l’emanazione della norma, ha chiesto ai Provveditorati Regionali d’invitare le Associazioni di Volontariato, a comunicare “la presenza sul territorio di soluzioni abitative, anche presso strutture comunitarie e di accoglienza, atte a costituire domicilio idoneo ed effettivo per i detenuti sprovvisti di fissa dimora, che si trovino nelle condizioni di poter usufruire della detenzione domiciliare”.
La legge rappresenta, per lo scopo che si proponeva, un vero e proprio fallimento, che costituisce l’ennesima prova che manca una coscienza politica per affrontare seriamente l’emergenza-carcere e un’adeguata preparazione per contrastare il fenomeno, se si attribuiscono ad un legge effetti che non potrà mai avere.
Inutile dichiarare, oggi, come fa qualche politico, che la legge non doveva “svuotare” le carceri, perché altrimenti sarebbero usciti i delinquenti o addirittura, affermazione surreale, che sono i detenuti che non vogliono aderire al beneficio perché in carcere si lavora e fuori no. Mistificazioni che, ancora una volta, beffano i detenuti a cui si prospettano false soluzioni per le vergognose condizioni in cui sono costretti a sopravvivere. Ne è prova la stessa relazione del Ministro, sull’Amministrazione della Giustizia nell’anno 2010, svolta al Senato il 18 gennaio u.s., in cui si auspica che la predetta legge possa “far registrare un’incidenza positiva” sul problema del sovraffollamento. Speranze che vanno immediatamente riposte, perché ne è palesemente evidente la sua inefficacia.
La legge, inoltre, nella confusione creata nell’opinione pubblica, è stata vista come l’ennesimo attacco alla certezza della pena. E’ stata definita un “indulto occulto”, senza capire che non si beneficia di uno sconto di pena e della libertà (come l’indulto), ma solo di una diversa modalità di esecuzione della pena , gli arresti domiciliari, per la quale, tra l’altro, sono anche state contestualmente inasprite le sanzioni in caso di evasione.
La Relazione del Ministro fa poi riferimento ad un altro risultato, ritenuto importante, raggiunto dal Governo e cioè il Decreto Legislativo 7 settembre 2010 in materia di trasferimento delle persone condannate. Si legge. “l’Italia è il primo Stato ad aver dato attuazione a questo importante strumento di cooperazione giudiziaria, che consentirà di trasferire le persone condannate dall’Italia verso lo Stato membro di cittadinanza, e viceversa, per l’esecuzione delle pene detentive. Grazie al Principio del mutuo riconoscimento delle decisioni delle autorità giudiziarie degli Stati membri dell’ Unione Europea, per la prima volta, il trasferimento potrà avvenire senza previo accordo con lo Stato estero (di cittadinanza del condannato) e senza il consenso della persona”. La Relazione indica in 1.214, il numero dei detenuti stranieri che potranno usufruire della norma (numero comunque irrisorio), ma non spiega, come mai da settembre ad oggi alcun detenuto è stato trasferito. Sarà forse perché, senza l’accordo con lo Stato estero, la trasferta è una vera e propria “missione impossibile” ?
Per il 2011, il Ministro ripropone, per il resto, i medesimi argomenti e soluzioni dell’anno precedente, su cui fa, come sempre, da padrone il “Piano Straordinario d’interventi di Edilizia Penitenziaria”. Un piano, varato nel febbraio 2009, che più “piano” non può andare. L’Edilizia Penitenziaria è stata da sempre un’emergenza, ma questa volta è stata definita “straordinaria”, circostanza che consente di derogare a norme vigenti, di nominare, il 23 gennaio 2009, un Commissario, che altri non è che il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e di affidare alla Protezione Civile la vigilanza sull’attuazione del Piano Carceri.
Un passo della Relazione del Ministro è significativo per comprendere come all’organizzazione formale non corrisponda un apparato pronto ad operare. Si legge. “Sempre in attuazione del Piano Carceri, il Commissario Delegato, esercitando i poteri straordinari conferitigli, ha potuto richiedere e ottenere la collaborazione di tutte le amministrazioni interessate e, in particolare, del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria…” (pag.194) . In pratica, grazie ai poteri straordinari, il Commissario ha ottenuto la collaborazione del Dipartimento di cui è Capo.
L’”Edilizia Penitenziaria” dovrebbe essere affrontata seriamente e vista non come soluzione al sovraffollamento, ma per costruire edifici moderni che possano sostituire quelli esistenti, ormai fatiscenti, di cui l’80% è stato costruito più di 100 anni fa.
Allarmante poi il previsto ampliamento e/o la costruzione di nuovi padiglioni all’interno delle vecchie strutture, perché riduce ancora di più lo spazio all’aperto dei detenuti e allo stesso tempo, con il numero di agenti e personale rimasto invariato, incide negativamente sull’organizzazione di una situazione già al collasso.
Senza tener conto che vi sono almeno 40 Istituti Penitenziari già costruiti e mai utilizzati. Alcuni esempi: a Gela, in Sicilia, il carcere è stato progettato nel 1959, i lavori sono iniziati nel 1982, sono durati 25 anni, ma non è ancora operativo. A Morcone, in Campania, l’Istituto è stato completato nel 1995 e non è stato mai utilizzato perché ritenuto antieconomico. A Buschi, in Sardegna il carcere è costato 5 miliardi di lire e non è mai andato in funzione. A Castelnuovo della Daunia, in Puglia, l’Istituto è arredato, inutilmente da 15 anni. A Cropani, in Calabria, vi abita solo il custode. A Pescara, il penitenziario di san Valentino, pronto da 15 anni, non è mai stato collaudato. Pronti e mai collaudati anche gli Istituti di Licata in Sicilia e quello di Codigoro (Ferrara). Dopo 17 anni dall’inizio dei lavori, attende di essere completato l’Istituto di Revere (Mantova), costato fino ad ora 5 miliardi di lire.
Nella Relazione viene dichiarata ancora una volta l’ imminente assunzione di nuovi agenti di Polizia Penitenziaria, con la “riprogettazione della pianta organica”. Con l’art. 4 della L.199/2010 è stata autorizzata l’assunzione di 1.800 unità , non ancora però finanziata. E’ stata, infatti, allo stato, congelata in attesa di risorse. Alcun cenno all’assunzione di educatori - nonostante vi siano vincitori di concorso in attesa da anni – psicologi ed operatori, figure essenziali per l’opera di rieducazione e trattamento. Le risorse per l’area trattamentale sono state ridotte del 30%.
La situazione nelle carceri italiane è allarmante per le condizioni di vita dei detenuti e degli stessi operatori dell’amministrazione penitenziaria. Al fine di ripristinare, nei limiti del possibile, la capienza tollerabile negli Istituti, sono stati effettuati, nel corso dell’anno 2010, 6.565 trasferimenti di reclusi comuni, che vanno ad aggiungersi a quelli disposti dai Provveditorati in ambito regionale . Tali trasferimenti sono in netto contrasto con il principio della territorialità della pena previsto dall’ordinamento, per consentire un effettivo recupero della persona detenuta, che richiede relazioni stabili e assidue sul territorio, con i propri familiari e i servizi territoriali della regione di residenza.
L’Avvocatura, in questa continua emergenza, ha, da tempo e in innumerevoli occasioni, indicato la strada da seguire.
RICORSO A PENE ALTERNATIVE AL CARCERE E A SANZIONI DIVERSE DALLA DETENZIONE
Le statistiche hanno costantemente dimostrato che il detenuto che sconta la pena con una misura alternativa ha un tasso di recidiva bassissimo, mentre chi sconta la pena in carcere torna a delinquere con una percentuale del 70%. Occorre convincere l’opinione pubblica che con le pene alternative si abbattono i costi della detenzione, si riduce la possibilità che il detenuto commetta nuovi reati, con aumento della sicurezza sociale. Senza misure alternative recidiva e insicurezza aumentano.
A proposito di costi, il progetto dei braccialetti elettronici per i detenuti agli arresti domiciliari, costa allo Stato Italiano 11 milioni di euro all’anno, che, dal 2001, vengono versati alla Telecom, con un contratto vincolante fino al 2011. Coloro che effettivamente ne usufruiscono sono una decina di persone, con un costo di circa un milione di euro all’anno per ciascun braccialetto.
LA RIFORMA ORGANICA DEL PROCESSO PENALE
La metà dei detenuti sono in attesa di giudizio. Il ricorso sempre più ricorrente alla misura cautelare in carcere e la durata dei processi produce questo dato abnorme con “presunti innocenti” che scontano pene disumane. Occorrono urgentemente nuovi investimenti nel settore Giustizia, sia in tecnologie avanzate, sia aumentando l’organico degli Amministrativi e dei Magistrati, anche richiamando al “processo” quelli impegnati altrove. Evitare che la misura cautelare sia la vera pena da scontare. Inoltre, sarebbe opportuno razionalizzare le risorse, responsabilizzando i dirigenti degli Uffici, ai quali va impartita un’adeguata formazione.
L’EFFETTIVO VALORE DELLA RILEVANZA PENALE
Nonostante l’emergenza la politica del Governo va sempre più verso una maggiore carcerazione, con una riduzione proporzionale della discrezionalità del Magistrato. Molte ipotesi di reato vengono inutilmente aggravate per facili consensi sull’onda di fatti di cronaca che hanno allarmato l’opinione pubblica. Alcune fattispecie vanno poi depenalizzate, perché troverebbero, nella sanzione amministrativa, un corretto deterrente.
Si rispettino i principi costituzionali e le norme in vigore, si inizi a ragionare su prevenzione e rieducazione. Una maggiore repressione e una maggiore carcerizzazione, non solo non migliorano la vita dei cittadini “liberi”, ma non dovrebbero trovare applicazione in un Paese civile.
Il rinnovato “stato di emergenza” preveda un tavolo permanente, dove non occupi due sedie la stessa persona, ma vi siano rappresentanti dell’amministrazione giudiziaria, degli enti locali, Avvocati e Magistrati, per individuare finalmente la strada da seguire.
Approvato dal Consiglio Direttivo il 26 gennaio 2010
Per il Consiglio – Il Presidente, Avv. Riccardo Polidoro
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