06-04-2014
GUIDA AI DIRITTI ED AI DOVERI DEI DETENUTI SECONDA EDIZIONE: Nella sezione UTILITA' del sito è disponibile la seconda...
 
LA MONTAGNA CHE PARTORÌ IL TOPOLINO
LA MONTAGNA CHE PARTORÌ IL TOPOLINO
 
LA MONTAGNA CHE ABORTÌ IL TOPOLINO. Il titolo che ho scelto pecca di estetica. Ne sono consapevole. Ma mi è sembrato perfetto per descrivere le ben più orribili sorti della riforma dell’ordinamento penitenziario. Navigando su internet, ho scoperto che il proverbio parturient montes, nascetur ridiculus mus è di Orazio, che così ironizzava su coloro che promettevano opere di grande ingegno ma che non mantenevano mai le loro promesse. Poi è stato Esopo a raccontare della montagna che era prossima a partorire, e le cui doglie facevano tremare la terra e cadere gli alberi. Gli abitanti dei villaggi circostanti erano sicuri che qualcosa di terribile stava per accadere, che la calamità era certa, così tutti insieme si radunarono per pregare, convinti che tutto stava per finire. Ad un certo punto dalla montagna uscì una densa nube di fumo. Quando si dissolse, sbucò un topolino. Le analogie mi sembrano evidenti. Dopo un lungo travaglio, cominciato con gli Stati Generali, passato per l’approvazione della legge delega, e terminato con i lavori delle commissioni ministeriali, il Governo approva uno schema di decreto legislativo ben lontano dalla annunciata storica riforma dell’ordinamento penitenziario. Il travaglio sembra in ogni caso giunto al termine e vicino il parto della ridimensionata riforma. Ma ecco che gli abitanti delle aule parlamentari (ed i soliti sindacati della polizia penitenziaria) cominciano ad agitarsi, a gridare che la sicurezza dei cittadini è in pericolo, che si vogliono spalancare le porte del carcere, e, poco dediti alla preghiera, rispediscono lo schema di decreto al mittente, con numerose osservazioni critiche. Il Governo dichiara di essere determinato ad approvare in ogni caso i decreti, o ciò che ne rimane alla luce delle osservazioni delle commissioni parlamentari. Ma si sa la politica non agisce secondo natura, spesso il suo corso non si dirige verso ciò che è giusto, ma verso ciò che è utile. Così il 22 febbraio, il Presidente del Consiglio annuncia che l’approvazione dei decreti attuativi della riforma ordinamento penitenziario è slittata a dopo le elezioni (salvo che per tre decreti del tutto minori sulla giustizia riparativa, il lavoro ed i minorenni). La montagna non ha partorito nemmeno il topolino. Ci avevamo davvero creduto. Tutti. Tutti coloro che da anni si occupano di carcere. Eravamo convinti che era giunto il tempo in cui avremmo visto sorgere quel carcere possibile per il quale combattiamo da anni. Il lavoro degli stati generali e l’impegno assunto dal Governo con tutti coloro che, gratuitamente e con grande dedizione, vi hanno partecipato, i ripetuti proclami del Ministro della Giustizia, l’approvazione della legge delega, sembravano escludere anche solo la possibilità di una marcia indietro del Governo. Per la verità, segnali negativi non erano mancati: l’esclusione dalla delega del 41 bis, l’esclusione dai decreti ministeriali delle norme in tema di affettività, il ridimensionamento della riforma del 4 bis, l’avvicinarsi pressante della fine della legislatura. Ciò nonostante eravamo tutti sicuri: “forse non sarà una riforma storica, ma degli importanti cambiamenti ci saranno”. Avevamo sottovalutato l’ignavia della nostra classe politica. L’utilitarismo perseguito sulla pelle di migliaia di persone che soffrono scontando una pena inumana, degradante e incostituzionale. Inutile nasconderlo. La delusione è forte. Lo scoraggiamento pure. Ma un carcere possibile è la ragione del nostro esserci. “Non ci vogliamo arrendere. Non possiamo arrenderci”. Non si illudano. Non lo faremo!